“Sono pronto per la nuova avventura e molto emozionato. Ringrazio Napoli“. Si è congedato così Benitez con un sorriso stampato in faccia che sa di beffa per i tanti che hanno abbandonato il San Paolo tra le lacrime, hanno trascorso una notte insonne e si sono alzati dal letto con l’acidità di stomaco mista a forte emicrania. Dopo una partita da incubo, una delle serate più meste della storia recente del Napoli degno corollario di una stagione schizofrenica e fallimentare, s’è dileguato di buon mattino come un amante che sguscia via dal letto, da lenzuola ancora ardenti di passione consumata rapidamente, prima che il partner si risvegli. Benitez s’è dimostrato frettoloso di abbandonare la nave colata a picco, affondata sotto i colpi di una gestione superficiale, a tratti indolente, permissiva e cocciutamente monolitica. Ora è tutto chiaro anche se nessuno c’ha messo la faccia, anche se nessuno ha fornito delle spiegazioni plausibili a quello che si palesa, date le aspettative iniziali, come un disastro calcistico e finanziario.
Sorprende che De Laurentiis abbia concesso al tecnico tante licenze che hanno finito inevitabilmente per pesare sulla già fragile psicologia dei calciatori, viziati e irascibili, pigri e distratti, presuntuosi e inconcludenti. Dal possibile rinnovo di cui si è discusso la sera prima della semifinale di Europa League (un unicum nella storia del calcio!) alla conferenza stampa di giovedì scorso, passando attraverso il prolungato quanto immotivato silenzio voluto e imposto dall’allenatore, abbiamo assistito attoniti a una caterva di incredibili errori strategici a cui non è più possibile rimediare ma che vanno analizzati a fondo per evitare di ripeterli in futuro.
Il tiro dal dischetto fallito da Higuain racchiude l’essenza dell’annata azzurra, è la metafora di nove mesi terribili. Il Napoli è stato sempre pronto a non sfruttare la miriade di occasioni che gli avversari gli hanno generosamente concesso lungo il tortuoso e tormentato cammino. Però, sarebbe anche un terribile sbaglio giustificare la mancata qualificazione ai preliminari di Champions con l’imprecisione dell’attaccante argentino. Fare di Higuain un capro espiatorio sarebbe l’ultimo abbaglio. La partita con la Lazio ha palesato tutti i difetti, i limiti, le contraddizioni tattiche di una squadra costruita male, anzi indebolita colpevolmente in estate, e gestita peggio durante la stagione. Se la stoffa che si ha a disposizione non è di primissimo livello, bisogna far di necessità virtù. Invece, si è indugiato sul ricamo quand’era lapalissiano che occorreva concretezza e cinismo, qualità che il Napoli di Benitez non ha mai dimostrato di possedere. Il calcio del tecnico spagnolo, almeno in Italia, s’è dimostrato un esercizio di stile fine a se stesso, retorico e stucchevole come gli elogi ricevuti con una magnanimità eccessiva. Il rafaelismo è stato uno dei limiti ideologici di questo biennio, una difesa a oltranza dell’indifendibile, un consenso acritico che, nel suo ultimo stadio, al momento del commiato o della resa, ha sbattuto il mostro in prima pagina: il tifo azzurro. Come se la colpa della disfatta fosse da attribuire all’ancestrale anarchia del popolo napoletano che sfocia necessariamente nell’inciviltà e nella delinquenza. Un popolo di irriducibili lazzaroni che il profeta Rafa era venuto a redimere appoggiato dalla componente elitaria e presuntivamente illuminata dell’intellighenzia partenopea. Allora via alla socio-pedagogia, all’antropologia a buon mercato, ai sofismi in libertà. Più che il racconto del campionato, qualcuno ha romanzato una sorta di Gomorra del tifo partenopeo, un romanzo criminale sganciato dalla realtà, incurante dei miseri risultati ottenuti e dei nodi calcistici che inesorabilmente sono venuti al pettine. Il dramma sportivo è proprio questo: si è discusso di tutto quest’anno, tranne che di calcio. Solo su una cosa non possiamo che concordare col Rafa-pensiero: il calcio (in certi casi) è bugia. Da Bilbao in poi ce ne siamo accorti da soli. E quando non si racconta la verità, l’illusione, prima o poi, nel momento stesso in cui si smaschera impietosamente l’inganno, si trasforma in cocente delusione e inappellabile bocciatura.
Gianluca Spera