Il clima delle ultime settiamane, intorno al Governo Renzi, non è stato dei migliori, visto che, come i sondaggi recitano, si registra un progressivo allontanamento della pubblica opinione nazionale dall’Esecutivo in carica, che, seppur nato fra mille entusiasmi, oggi non incontra più il favore di settori qualificanti della società italiana.
Non solo l’intervento di Della Valle, che ha chiesto esplicitamente un cambio di marcia ovvero la sostituzione del Dicastero attuale, ma molti altri segnali fanno intendere che la vita del Governo Renzi sarà difficile nei prossimi mesi ed, addirittura, potrebbe interrompersi improvvisamente, proprio come accadde al suo predecessore, Letta, che – nell’arco di pochissimi giorni – passò dalla conferma della fiducia, da parte del suo stesso partito, alla caduta rovinosa, che ha effetti – tuttora – sulla stabilità interna al PD.
Infatti, i passi falsi compiuti in politica estera e, soprattutto, la lentezza del Paese nel ridestarsi dalla crisi economica sono due fattori di vitale importanza, che inevitabilmente prefigurano altrettanti scacchi dell’Esecutivo.
Ma, quale potrebbe essere la maggioranza alternativa a quella attuale?
Chi, in particolare, potrebbe salire a Palazzo Chigi, prendendo il posto dell’odierno Segretario Nazionale del PD?
È evidente che, perché possa cadere Renzi, innanzitutto deve realizzarsi un terremoto all’interno del partito, che egli dirige: in verità, i dissensi, finora registrati nel Partito Democratico, sono stati tutti molto flebili e non hanno indebolito più di tanto il Capo del Governo, che è andato avanti nel suo percorso, non curandosi dei rapporti sempre più burrascosi fra le varie correnti democratiche.
Ma, in autunno, il calendario dei lavori parlamentari prevede una scadenza rilevante: l’approvazione definitiva del progetto di riforma costituzionale, che, avviato la scorsa estate, deve arrivare in porto con la ratifica in seconda lettura del nuovo dettato costituzionale.
In quel caso, davvero per Renzi potrebbe aprirsi un periodo non facile, dal momento che, in sede di prima approvazione, egli ha avuto il consenso di Berlusconi, che – vigente ancora il Patto del Nazareno – è stato un utilissimo sostegno per il Presidente del Consiglio.
Finita quella stagione, a Renzi dei berlusconiani è rimasto solo l’appoggio del gruppo di Verdini: ben poca cosa, invero, rispetto all’aiuto fornito dall’intera Forza Italia.
Pertanto, i numeri iniziano a diventare pericolosamente ballerini: d’altronde, anche in sede di approvazione del ddl sulla cosiddetta “Buona Scuola”, sono mancati circa un centinaio di voti della maggioranza, a dimostrazione del fatto che un forte disagio serpeggia fra i parlamentari del PD, che leggono quotidianamente i sondaggi e sanno benissimo che sia il Premier, sia il Governo sono, oggi, giunti al minimo della popolarità e del gradimento dei cittadini.
Quindi, ritenendo improbabile un ricorso anticipato alle urne a metà della legislatura, è auspicabile che tutte le forze parlamentari – finanche quelle, come Sel, che hanno avuto un rapporto dialettico con il PD a partire dalla primavera del 2013 – si rimetteranno in gioco per dar vita ad un Esecutivo di transizione, che impedisca a Renzi di arrivare, in qualità di Presidente del Consiglio in carica, al prossimo voto politico.
Ovviamente, una simile prospettiva si basa su un dato di previsione fondamentale: il PD imploderà nei prossimi mesi, in autunno, quando lo scontro fra le correnti diventerà più aspro ed interessante per gli osservatori.
Finora, per la sopravvivenza di Renzi è stato essenziale il consenso ricevuto dagli ex-Margheritini – da Gentiloni a Franceschini, da Fioroni a Marini – i quali, però, potrebbero nutrire ambizioni, che almeno potenzialmente entrano in contrasto con quelle dell’attuale Capo di Governo.
Ad esempio, lo stesso Ministro dei Beni Culturali non potrebbe essere un autorevole candidato alla successione a Palazzo Chigi?
Certo è che, dopo l’interruzione estiva, il teatro della politica offrirà delle novità, che andranno lette ed analizzate per tempo, se si vuole evitare che, come nel 2013, gli eventi concitati della cronaca parlamentare non prendano il sopravvento sui calcoli e sulle strategie definite ex-ante.