In che misura un essere umano può essere artefice della propria sorte? Il destino è scritto o lo scriviamo noi? O ancora: siamo ‘vittime’ di fatalità che non possiamo sovvertire? Affrontare la vita, consapevoli di aver fatto le scelte giuste e, oltremodo, di non avere rimpianti e rimorsi, non è cosa facile; ma tante volte si ha l’inclinazione ad attribuire al destino la colpa per un percorso negativo che, purtroppo, ha intrapreso la vita; mentre, molte volte, ci prendiamo il merito di aver fatto le scelte giuste quando il percorso per cui si è optato si è rivelato vincente. Allora il destino ha solo un valore negativo? E quale è la differenza tra fato e destino? Il fato (il cui termine deriva dal latino Fatum ovvero ‘ciò che è detto’)è incontrovertibile; per cui un fatalista è colui che soccombe alla vita e lascia che il fluire delle cose sia come un assioma, come un decalogo di regole predeterminate ed inconfutabili. Colui che crede al destino, invece, partecipa a metà nella propria vita tra il “già scritto da chissà chi” e tra “quello che posso e voglio lo scrivo io”. Indubbiamente, accadono – molto spesso – cose che non riusciamo a spiegarci, frutto di una casualità e di una coincidenza che, talune volte strana e tante altre attendibile, ci rende perplessi dinnanzi alla vita. Il vivere da credenti – a prescindere dal tipo di religione- ci pone, poi, dinnanzi alla consapevolezza che il nostro Dio ci fornisce ciò di cui abbiamo bisogno, e quello che desideriamo è un di più che possiamo conquistare con impegno e sacrificio. Appare chiaro che mixare il tutto: fato, destino, casualità, scelte, divina provvidenza come una ricetta sapiente che produce un piatto di vita gustoso e gustabile è alquanto difficile, e non è nelle capacità umane riuscire a realizzarlo. Una considerazione equilibrata porta a credere, però, che c’è una via di mezzo tra fatalità e destino, tra consapevolezza ed inconsapevolezza che rende, per nostra fortuna, la Vita una misteriosa scoperta quotidiana.