Discutendo con amici nelle serate estive, intorno ai temi della politica nazionale, è emerso evidentemente un giudizio unanime sulla scarsa credibilità della nostra classe dirigente, che, per quanto fosse motivato diversamente dai partecipanti alle conversazioni, presentava comunque un aspetto convergente: la necessità di procedere ad un ricambio profondo del ceto politico attuale, se non si vuole che, lungo la scia di un sentimento qualunquista, si possa giungere a fare a meno della democrazia e dei suoi istituti preziosi, a prescindere dalla qualità di chi, quotidiamente, frequenta i luoghi deputati alla rappresentanza.
È ovvio che una tale, esecrabile condizione non è emersa nel giro solo di pochi mesi o anni.
La scarsa credibilità della nostra classe dirigente risale, almeno, ai tempi di Tangentopoli, quando essa venne letteralmente spazzata via dalle indagini delle varie Procure, sull’onda di un sentimento che, nel biennio 1992/94, si espresse finanche in forme violente, visto che coloro i quali, per suicidio, persero la vita nelle carceri non furono mai pianti, né commemorati dalla pubblica opinione nazionale, che sembrava animata da un anelito giustizialista, che dapprima il Paese non aveva conosciuto, se non alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando migliaia di Italiani inveirono contro il cadavere di Mussolini, esposto a Piazzale Loreto, e contro i vessilli della dittatura fascista, con uno spirito – sorprendentemente – iconoclasta.
Oggi, la condizione non è dissimile da quella del 1945, dal momento che l’Italia non riesce a smarcarsi da uno stato di disagio profondo, causato dalla crisi economico-finanziaria, che ormai imperversa dal 2007.
È pleonastico sottolineare che i privilegi della casta appaiono tanto più insopportabili, perché una fetta crescente della popolazione non è in grado di assicurare un futuro degno ai propri figli, per cui è naturale che gli attacchi continui contro la casta vengono sostenuti da un consenso ampio dei cittadini, in particolare di quelli che – un tempo, benestanti ed appartenenti, per lo più, alla piccola borghesia – si vedono progressivamente vicini alla povertà, che temono oltremodo.
Le parole di Monsignor Galantino, Segretario della Conferenza Episcopale, mosse contro il ceto politico, accusato di costituire un “harem di cooptati e di furbi”, sono state pronunciate in un momento che non poteva essere più provvido per i giudizi espressi dall’alto prelato italiano.
La Chiesa, infatti, sia ai suoi vertici, dopo il profondo rinnovamento promosso da Papa Francesco, sia ai livelli inferiori, rappresenta un punto di riferimento essenziale per il Paese, visto che, tra le altre cose, essa svolge una funzione caritatevole di non scarso peso nella società: non dimentichiamo che moltissimi Italiani sono in grado, ancora, di mangiare un pasto caldo, perché sono, quotidianamente, ospiti della Caritas e delle strutture assistenziali, che essa vanta sull’intero territorio nazionale.
Pertanto, la contrapposizione fra il prelato ed il ceto dirigente dello Stato nel suo complesso, indipendentemente anche dal colore partitico del governante di turno, non può che vedere il Segretario della CEI in un’obiettiva condizione di favore rispetto al suo interlocutore.
La politica vanta, purtroppo, come sue protagoniste non sempre le migliori espressioni della società, per cui il proliferare dei “nani e delle ballerine”, che si addebitava come colpa capitale ai vertici dei partiti, agli inizi degli anni Novanta, oggi non solo non si è ridimensionato, ma ha trovato un’eco ancora più ampia, anche per effetto di meccanismi elettorali, che non consentono ai cittadini di eleggere il loro parlamentare di riferimento, ma danno la chance a pochi notabili di nominare circa mille fra senatori e deputati, in virtù dell’automatismo immorale delle liste bloccate.
L’esasperazione, che dunque cova sotto le ceneri, quando esploderà in modo fragoroso e dirompente?
Già, il consenso in favore del M5S e della Lega e l’alto tasso di astensionismo sono segnali importanti di una scelta anti-sistema, che inevitabilmente, prima o poi, dovrà trovare una sua espressione compiuta con l’adesione ad un programma e ad una piattaforma politica, che si proponga di rovesciare l’attuale stato delle cose.
Gli Italiani, peraltro, se per un verso sono – tendenzialmente – conservatori, per cui consolidano con la loro adesione acritica – per decenni – il potere precostituito, poi possono assumere atteggiamenti fortemente sopra le righe, come nel caso succitato di Tangentopoli.
Pertanto, sarebbe opportuno che la politica, fino a quando sarà ancora in tempo, si autoriformi seriamente e profondamente, prima che il vento del qualunquismo possa spazzarla via in modo repentino e, finanche, sorprendente.
Per cui, ci domandiamo se il prossimo voto politico potrà produrre effetti sismici, sul nostro sistema istituzionale, non dissimili da quelli che si verificarono nel 1994, all’indomani del crollo della Prima Repubblica.
Saranno, dunque, i nostri politici capaci di prevenire un simile, ennesimo disastro?