– di Mario Piccirillo (@Marioplanino)
Il Napoli non gioca la Champions, ma che ce ne fotte: “Li vedete gli scavi di Pompei?”. Il Napoli vince solo coppe residue, ma quale gretto e vile figuro se ne cruccerebbe quando “il porto non vive da quattro anni” e “i cinesi vanno a Civitavecchia”? Il Napoli non è in grado di chiudere un contratto senza ricorrere a tre gradi di giudizio e un paio di Corti Costituzionali, ma mioddio! ”l’avete vista la vostra città? Avete visto il patrimonio che avete sotto gli occhi e non riuscite a ottimizzare”? Aurelio De Laurentiis da Torella dei Lombardi, dall’alto della sua Presidenza, ha occhi solo per noi, e per noi guarda tutto, soprattutto la “nostra” città. E ci riporta alla amara realtà, in un mondo dove le aspettative sportive sono legate in catena al tessuto sociale, dove tutto è vicendevole al ribasso: non lamentatevi dei fallimenti del Napoli, è Napoli che è fallita. E la giustificazione in contumacia sia chiara per tutti: “Cari napoletani”, se “la vostra annata” come cittadini “è fallimentare” cosa diamine pretendete?
E quindi mentre domenica sera i tifosi organizzati del Napoli si spaccavano la faccia a vicenda in curva per questioni criminali tutte loro, quelli sfusi nel resto dello stadio avevano gli occhi sul campo del San Paolo, ma non guardavano.
Ciechi dinanzi a Napoli-Samp e agli affanni di inizio stagione di una nuova squadra nata vecchia. Le palle degli occhi ballavano inseguendo le giravolte di Eder e i capitomboli di Albiol, mai distratte da quanto accade in città, in quella Terra dove loro – i tifosi – evidentemente non vivono, figurarsi “scenderci” quando sei 2-0 e ti fai rimontare in cinque minuti. E non sia mai che all’ennesima figuraccia societaria sulle orme di tale Soriano seguano le ire “social” della gente. De Laurentiis immediatamente ammonisce via radio, e riporta tutti all’ordine con la litania del “se non era per me stavate ancora tutti in serie C”.
Ma un giorno questa storia del “grazie Aurelio” ad oltranza dovrà pur esaurirsi, mandando in prescrizione la condanna morale del tifoso. Per molti è già scaduta da tempo la riconoscenza imprenditoriale, almeno per quelli abbastanza scafati da dribblare il tranello: comprare una società sportiva non costituisce un regalo intrinseco ai suoi sostenitori. A meno di non considerare un’operazione economica come un atto di mecenatismo gratuito. Ma anche fosse… non si rinfaccia lo sforzo ad ogni critica, facendo leva sulla presunta coda di paglia sociale del tifoso-cittadino. Commettendo così due errori di comunicazione: estraniarsi dal contesto, rendendosi così alieno rispetto alla gente che tanto vorrebbe gli fosse grata, e mescolando un po’ a capocchia problemi – sportivi e sociali – che in una realtà sana dovrebbero essere separati.
Lo stanco piagnisteo che vuole la città tanto malandata da trovare il sorriso solo col pallone, tramandato a proprio uso e consumo ogni volta che le cose vanno male, stride clamorosamente con quella ambizione internazionale di cui pure De Laurentiis pare posseduto. Possiamo parlare di calcio quanto vogliamo, arrovellandoci sui destini della squadra, ridendo della storiella del “petting” in salottino con Ferrero e Soriano.
E’ un gioco nel gioco, e in fondo lo sanno tutti che le cose serie albergano altrove. Ma sventolare il primato del (presunto) successo personale a dispetto del nulla che ti circonda è una cafonata reiterata, che alla lunga alimenta l’immagine del gallo sulla monnezza. Vincere – visto che di questo si parla – in un posto dove la sconfitta è una stringa del dna territoriale, non prevede il ricorso alla lavata di capo strumentale gonfia di luoghi comuni. Semmai, se proprio vogliamo provare a cavalcare lo sport in questa seriosa rincorsa al riscatto sociale, occorrerebbe una sobrietà sconosciuta a questi siparietti presidenziali. Ma non è il suo sport, ci risparmi. Sono anni che in serie C non ci stiamo più, ma la fuga dalla Lega sul motorino sequestrato al volo resta. Come resta il peloso voto a Tavecchio re federale, blaterando di rivoluzioni di qua e di là. Ne faccia, De Laurentiis, una questione di furbizia personale: il pulpito, in questi termini, resta sempre scoperto nella sua endemica antipatia. Non c’è bisogno del “ricordati che devi morire”, ce lo siamo già segnati da tempo.