Occorre rivedere la convinzione infondata che la Scuola dell’Infanzia sia la scuola dell’assistenzialismo. Un ampliamento del primitivo concetto di luogo di assistenza nella moderna concezione di luogo di educazione prescolastica in cui si strutturano metodi, esercizi per lo sviluppo fisico, intellettuale e morale dell’infanzia è avvenuta con lentezza e in diverso modo. Nel campo dell’educazione infantile, abbiamo attraversato diverse stagioni pedagogiche, passando da Rousseau e Pestalozzi – affermatisi nelle scuole nuove dell’800 che aprirono porte e finestre all’ educazione a contatto con la natura – all’asilo Aportiano , passando, poi, per il Giardino d’Infanzia di Froebel, le Case dei bambini di Montessori, l’Asilo di Bompiano delle sorelle Rosa e Carolina Agazzi giungendo ai giorni nostri attraverso la scelta di metodi sagaci e strumenti pertinenti, ma che spesso hanno rischiato di irrigidirsi in uno sterile schematismo.
Nel mondo, il problema dell’educazione dell’infanzia è stato – dove più, dove meno- affrontato, ma sempre in modi che non hanno spesso soddisfatto le esigenze del bambino, della famiglia e della società. In Italia abbiamo il merito di aver messo in atto diversi impegni ministeriali nel conferire alla Scuola dell’Infanzia una connotazione di scuola di grado preparatorio per l’ingresso alla scuola primaria. Già gli Orientamenti del 1968 avevano dato alla scuola dei bimbi dai tre ai sei anni una connotazione di primissima importanza per la formazione delle future generazioni, iniziando un processo di revisione che partiva già dalla nomenclatura prima in “Scuola Materna” e poi in “Scuola dell’Infanzia”, con gli Orientamenti del 1991.
Così, mentre molti convenzionalmente ed erroneamente la chiamano ancora “Asilo”, la Scuola dell’Infanzia, per ora, rimane fuori dalla riforma de “La Buona scuola”: è stata assegnata invero una delega al Governo per legiferare sulla creazione di un sistema integrato di educazione ed istruzione per la fascia di età da zero a sei anni. Questo progetto, purtroppo, non solo appiattisce l’evoluzione della Scuola dell’Infanzia, ma ci dà anche contezza del fatto che le nuove scelte ministeriali non hanno ben chiare né le evoluzioni della moderna concezione di educazione- formazione né quelle dello sviluppo infantile (quello di cui necessita un bambino di 18 mesi non è lo stesso di cui ha bisogno un bimbo di tre anni e cosi via)
Occorre lo sforzo, dunque, di non tagliare fuori dalla riforma la scuola dai tre ai sei anni ed occorre anche chiamarla, giustamente, Scuola dell’Infanzia, non tanto per il nome, ma per confermare quella importanza che (attraverso le Indicazioni Nazionali del 2007 prima e del 2012 poi, che fanno riferimento agli Orientamenti del 1991 ed alle Raccomandazioni del Parlamento europeo e del Consiglio del 2006 ) gli è stata conferita in un’ottica globale di Scuola Prescolare.