- di Giuseppe Guarracino
Nel gioco degli specchi, non c’è cosa più pericolosa della scrittura. Inaffidabile, forse perché rende facile nascondersi. Uno scrittore scrive un nuovo libro, e di colpo non lo si riconosce più. Prima, era spiazzante confrontare la brillantezza della sua penna al pallore della foto in bianco e nero. Poi, il libro successivo è così nero che c’è da giurarci: non è lo stesso di quello precedente. Ma la foto, la foto no, non lo conferma.
Dicono che con i grandi non succeda. Potrebbero anche avere ragione, ma di certo l’immagine della loro scrittura non coincide, quasi mai, con le fotografie della loro persona. Con l’immaginazione, non li si riconosce.
Calvino, no. Calvino, lo si riconosce sempre. Non solo perché la sua prosa lirica, così scrupolosa e ironica, è l’immagine precisa di chi è riuscito a rendere il gioco un dovere, e il dovere un gioco, ma anche perché la sua espressione di ragazzo è così: eterna.
Eppure, riguardando le sue interviste, la prima cosa a colpire è la quantità di pause. Tante, puntuali e imprecise. A volte, persino spropositate. Tradivano, quelle pause, un imbarazzo, corollario del suo genio, della sua ironia tanto da diventare il tratto distintivo di una voce fatta di silenzi.
Si sa: non era di molte parole, Calvino. Troppo lontana la precisione, l’esattezza nell’usarle, specialmente a voce. Inseguivano, le parole, una meditazione sempre in vantaggio, sempre più lontana. Loro arrivavano tardi, sì, ma lui non ne soffriva. Comunicava, Calvino, coi silenzi. E se ne accorgevano tutti.
Come quella volta, a Siviglia, dove in tanti, Calvino incluso, circondavano Jorge Louis Borges – che, ormai, era cieco. Esther Judith Singer, la moglie argentina di Calvino, gli disse che c’era anche lui, Italo. Borges le rispose : ‘’Sì, l’ho riconosciuto dal silenzio.’’
Per questo, a trentanni e qualche settimana dalla sua morte, è bello ricordarlo con il fotogramma di una vecchia intervista Rai, in cui Calvino sorride. Dopo due pause di un tempo incalcolabile, ha appena precisato di essere nato a Sanremo, di essere tanto nato a Sanremo da essere nato in America.