Quella contro il terrorismo non è, certamente, una guerra desiderata, né voluta dall’Occidente; evidentemente, alla conclusione del secolo scorso, si erano aperte delle speranze, che sono andate disattese.
Tutti noi avevamo creduto che, con la fine del Comunismo e la caduta del Muro, potesse aprirsi un futuro radioso di pace per il nostro mondo, visto che l’evento centrale degli ultimi anni del XX secolo, la caduta dei regimi dell’Est europeo, metteva fine di fatto al “secolo breve” ed alla sua perversa dinamica politico-ideologica.
Purtroppo, quelle speranze sono andate vane, se – come è, ormai, realtà da qualche anno – la contrapposizione fra Est ed Ovest si è trasferita fra il Nord ed il Sud del mondo, con un’amplificazione non solo degli effetti nefasti di una tale conflittualità, ma anche con un’accentuazione dei tragici costi umani, che ne sono conseguiti.
Oggi, l’Occidente non è più tale: non si può dimenticare che, nell’azione di contrasto al terrorismo islamista, ha acquisito un ruolo centrale quello Stato, che fino ad un quarto di secolo fa era il nostro principale nemico: la Russia di Putin.
Non è un caso se, tuttora, noi Occidentali riponiamo speranze nella forza e nell’autoritarismo del regime moscovita, dal momento che è apparso evidente a molti che la creazione del fenomeno terroristico possa essere fatta risalire ad errori strategici dello Stato, di cui siamo, invece, ottimi alleati dalla conclusione del Secondo Conflitto Mondiale: gli USA.
Nel corso, dunque, di questi venticinque anni non solamente sono mutati alleanze e rapporti di forza in Europa, ma è cambiata la visione stessa della realtà: quello di Putin è un regime autocratico a tutti gli effetti, anche se ammantato da una forma, assai ipocrita, di un novello spirito democratico.
Orbene, in nome del contrasto all’Isis ed al terrorismo islamista, quel regime ha ineluttabilmente acquisito le nostre simpatie di Occidentali, impegnati nel difendere la propria civiltà dagli attentati di chi la vorrebbe far regredire al peggior Medioevo, che la storia possa ricordare.
È, alquanto, anomala una dinamica simile, ma non la si può negare: ci si affida ad un autocrate per rimediare agli errori gravissimi fatti dalla diplomazia statunitense nei decenni nei quali questa, immediatamente dopo la caduta del Muro, ha creduto opportuno modificare assai discrezionalmente regimi in Asia ed in Africa, non rendendosi conto che stava per azionare un meccanismo perverso, che non avrebbe saputo più guidare e gestire.
Mutandis mutatis, se i nemici di un tempo diventano i nostri migliori alleati, sia sul piano economico che su quello militare, è evidente che rimane un dato costante, che non si può certamente sconfessare: l’esigenza storica, prima ancora che ideale, di difendere la libertà ed il modo di essere e di agire di noi Occidentali, che si sono venuti a costruire nel corso degli ultimi due secoli.
È ovvio che il prezzo, che sarà pagato per tal via, non sarà irrilevante, ma è anche altrettanto lecito aspettarsi che l’Occidente esca, ancora una volta, vincitore da una siffatta contesa, visto che ne va non solo del destino dei nostri figli, ma del grado di vivibilità di una civiltà e di popoli interi, che altrimenti tornerebbero secoli indietro sull’irto percorso dell’edificazione della democrazia e delle condizioni minime per l’inclusione delle diversità.
Ne saremo capaci?