Quella dell’integralismo è, certamente, una malattia inguaribile, visto che passano gli anni, i secoli e non viene eradicata dalla faccia della Terra.
L’ultimo evento, consumatosi nei giorni scorsi in Arabia Saudita, dimostra bene la verità del mio asserto: infatti, l’uccisione voluta dallo Stato arabo di un imam sciita è la prova che, neanche all’interno della medesima confessione religiosa, è possibile – a volte – costruire un dialogo proficuo, visto che chi ha emesso quella condanna a morte era un’autorità composta di vertici politici di fede sunnita.
È ovvio che, dopo la cosiddetta “primavera araba”, i rapporti all’interno del mondo islamico non solo sono peggiorati, ma segnano un’inversione di tendenza molto forte rispetto al precedente passato.
Chi pensa in Occidente che la rivalità storica fra Sunniti e Sciiti sia un fattore che agevoli e rafforzi la presenza del Cristianesimo, a fronte appunto di un Islam diviso ferocemente, compie un gravissimo errore di valutazione.
Le fratture fra islamici non solo sono la premessa logica per nuove guerre fra quelle popolazioni, ma costituiscono la precondizione teologica perché ciascuna delle due comunità musulmane, sparse per il mondo, si senta spinta a compiere crimini più efferati, nel vano tentativo di dimostrare la maggiore fedeltà, rispetto all’altra, ai dettami del Profeta.
I due integralismi islamici, quindi, costituiscono una condizione peggiorativa per noi Occidentali: in tal caso, infatti, il detto “divide et impera” non può essere certamente applicato, dal momento che l’Islam è cresciuto, in modo sistematico e vertiginoso, sulle divisioni interne, che hanno contribuito, in passato, ad inasprire i tratti feroci del suo essere anti-cristiano ed anti-occidentale.
Peraltro, è noto a tutti come, in particolare, gli Usa abbiano accelerato il processo di estremizzazione dell’Islam moderato, nel momento in cui, sciaguratamente, hanno finanziato le frange oltranziste per eliminare i Governi, che vennero spazzati via dalle “primavere arabe”, alcuni anni or sono.
Tunisia, Egitto, Libia, Siria, Iraq rappresentano i più vistosi punti di riferimento di una strategia non solo fallace, ma pesantemente suicida, messa in essere dagli Stati Uniti e corroborata dal sostegno dei Paesi europei, oggi travolti da un’ondata migratoria che era, invece, contenuta dai precedenti regimi del Nord-Africa e del vicino Medioriente.
Forse, gli Usa non avevano ipotizzato che la distruzione di quei regimi avrebbe prodotto effetti disastrosi sui flussi migratori?
Forse, non avevano previsto l’ondata che si sarebbe abbattuta sull’Europa mediterranea, di fatto mettendola in ginocchio, perché impossibilitata a ricevere un così grande numero di immigrati, bisognosi tanto di rilevanti aiuti concreti, quanto di importanti diritti formali?
Un dato è certo: alla conclusione del secolo attuale, gli Europei saranno meno di un miliardo di individui, mentre gli Africani e gli Asiatici, per lo più di fede islamica, saranno circa quattro miliardi e mezzo, per cui, in termini numerici, diviene impossibile immaginare che ci possa essere un processo di assimilazione da parte della vecchia Europa nei riguardi dei nuovi cittadini.
In tale contesto, i dissidi religiosi, sia quelli fra Cristiani ed Islamici, sia quelli fra Islamici di un credo e di un altro, saranno determinanti per comprendere le dinamiche politiche di un processo così articolato e problematico, da cui dipende la possibilità stessa che l’Europa del futuro sia quella che abbiamo conosciuto, nel bene e nel male, nel corso degli ultimi secoli.
I numeri farebbero, invero, pensare ad un rischio di assimilazione in senso inverso, per cui i timori, che certa politica e certa stampa facilmente diffondono, ricordando le parole della Fallaci, nascondono in sé qualcosa di vero, anche se poi la strategia, che viene suggerita, rappresenta un male ancora maggiore rispetto alla criticità evidenziata.
È, perciò, venuto il momento che la diplomazia occidentale impari a leggere bene i segnali, che provengono dal mondo islamico, sciita o sunnita che sia.
Un eventuale errore, altrettanto grave quanto quello compiuto, quando fu incoraggiato il crollo dei Governi di Mubarak o di Gheddafi, non solo metterebbe l’Europa in una condizione di ulteriore difficoltà, ma rinfocolerebbe il peggiore nemico della nostra civiltà: l’integralismo, sia islamico che, purtroppo, cristiano.