di Ornella Esposito
Tempo di primi, pur se parziali, bilanci sull’applicazione di una norma tanto attesa. Intervista al giudice di Cassazione, dottor Luca Ramacci, autore di svariati testi sui reati ambientali.
Una gestazione lunga e difficile fu quella della legge n. 68 cosiddetta sugli ecoreati, approvata il 19 maggio dello scorso anno, perché, per la prima volta in modo chiaro, metteva ordine in una babele legislativa grazie alla quale i potentati economici del Paese potevano perseguire i propri interessi volti al profitto a scapito della tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini. Ma un anno fa, dopo oltre venti di dure battaglie, soprattutto della associazioni ambientaliste, e grazie anche clamore mediatico suscitato dalla ormai nota “terra dei fuochi”, l’Italia ha finalmente inserito nel codice penale il reato ambientale e non solo.
Ad arricchire il testo di legge, infatti, altri importanti articoli che hanno stabilito, ad esempio, iI raddoppiamento dei tempi di prescrizione, la confisca dei beni in caso di condanna e una lunga serie di aggravanti, tra cui quelle per lesione, morte, ecomafia e corruzione. Con l’aiuto del giudice Luca Ramacci, consigliere della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ed esperto di questioni ambientali, abbiamo tracciato un primo e parziale bilancio, ad uno anno dall’approvazione della legge.
Dottor Ramacci, quali carenze, di cui spesso la magistratura si è lamentata, la legge sugli ecoreati è andata a colmare?
Diciamo che, in buona sostanza, non esistevano delitti contro l’ambiente, l’unico era il reato per il traffico illecito di rifiuti, introdotto grazie alle pressioni delle organizzazioni ambientaliste, prima fra tutti Legambiente. Questa legge ha colmato un grande vuoto.
Ad un anno di distanza dalla sua approvazione che bilancio si può fare sull’applicazione e applicabilità della norma?
È ancora un po’ presto per fare un bilancio serio, ma c’è notizia di alcune Procure, dove non sussiste il vincolo della riservatezza, che hanno iniziato ad applicare la norma, come per esempio quella di Torino e Roma. In Cassazione ho visto arrivare un primo processo scaturito dall’applicazione di tale norma. Ma, ripeto, è ancora prematuro tracciare un bilancio completo perché la legge è giovane e scritta non proprio nel migliore dei modi, quindi, pone problemi di interpretazione.
Nello specifico, i temuti colpi di spugna, paventati da una parte di critici della legge, riguardo al fatto che il disastro ambientale è perseguibile solo se commesso abusivamente, nella pratica ci sono verificati o è stato un «molto rumore per nulla»?
Il problema è che la norma è nata dalla fusione di più testi di legge, e non è stata scritta proprio nel migliore dei modi, poteva essere redatta meglio, pertanto chi ha avanzato delle critiche non aveva tutti i torti. Detto questo, il dato di fatto è che prima non c’era nulla, oggi invece c’è una legge, migliorabile, ma almeno c’è punto fermo da cui partire. La norma poi ad un certo punto è stata approvata perché ulteriori modifiche avrebbero comportato il riesame del testo al Senato, dove c’era il rischio reale di un sabotaggio.
Altro punto critico è quello della possibilità dell’estinzione amministrativa dei reati minori se vengono rispettate in tempi certi le prescrizioni dell’Arpa. Nella pratica, è un indebolimento nella lotta a favore dell’ambiente?
No, queste diposizioni stanno creando problemi pratici di applicazione perché sono state mutuate dal campo dell’infortunistica del lavoro, ma non calate nella realtà della materia ambientale. Sono state copiate, senza fare prima un ragionamento critico.
Di fatto le forze di polizia, con la nuova legge, hanno più strumenti per prevenire e reprimere i reati ambientali?
In generale si, il problema principale, ripeto, è che ci sono delle cose nella legge 68 copiate pedissequamente da altre normative e che rendono più complicata, per le forze di polizia, la parte operativa. Tuttavia l’inserimento del delitto di impedimento al controllo, per fare un esempio, ha dato uno strumento concreto ed efficace alla polizia giudiziaria che prima non aveva potere di intervento dinanzi a evidenti o sospette manomissioni che di fatto impediscono il controllo.
Più difficile, invece, è il contrasto in generale in quanto è spesso legato a permessi e controlli collegati agli organi istituzionali. Il primo ostacolo di chi controlla sono le amministrazioni, che rilasciano permessi a tutti, e il legislatore che appena può cerca di cambiare le normative per compiacere qualcuno. Ma questo vale non soltanto per l’ambiente.
Pensando alla terra dei fuochi e non solo, quanto la nuova legge colpisce il cuore del problema cioè l’intreccio mortale tra politica, criminalità organizzata e imprenditoria scellerata?
Intanto va detto che la criminalità organizzata non si occupa solo del business dei rifiuti. È diventato uno dei suoi settori di intervento, quado ha capito che portava soldi. Nella mia lunga carriera di magistrato, posso affermare che i delitti contro l’ambiente vengono commessi anche da soggetti che non sono legati alla criminalità organizzata. La nuova legge prevede delle aggravanti che mirano a colpire quell’intreccio, ma bisogna avere la volontà di colpirlo altrimenti pure le leggi migliori del mondo non servono.
E’ reale oggi, diversamente da un anno fa, che chi inquina paga?
È un principio applicabile, qualcosa si sta muovendo. Tuttavia è la macchina della giustizia che versa in enormi difficoltà: oggi celebrare un processo è difficile, non c’è personale, i mezzi sono scarsi.
A suo parere quanto sta emergendo attraverso inchieste e processi relativi ai delitti ambientali, ha scoperchiato tutto o quanto vediamo è solo la punta dell’iceberg?
Quello che viene scoperto è soltanto una minima parte perché il controllo del territorio è scarso. Ci sono tante emergenze, e quella ambientale a volte passa in secondo piano. Purtroppo non ci sono né i soldi né i mezzi per farlo. Ci sono imprese che lavorano sotto traccia e possono non essere mai scoperte. Nella mia esperienza di Pubblico Ministero, mi sono trovato spesso a processare imprenditori i quali mi dicevano che gli costava meno pagare l’avvocato che non mettersi a norma. Ma queste cose succedono da oltre vent’anni.