L’estemporanietá dell’esistenza ci impone di rivedere luoghi, costumi e pensieri; eppure per molti è difficile superare certe convinzioni, lasciarsi alle spalle alcune conoscenze ed affacciarsi a nuovi pensieri e nuove idee. Si pensi all’idea di voto, quello scolastico : quanti genitori ingabbiati nell’idea di numero, di quantità, di valore attribuito al proprio figlio; quanti delusi da un otto in matematica perché pretenziosi di un dieci; quanti genitori, invece, li vedi librare la coda colorata e pavoneggiarsi dei voti eccellenti dei propri figli. Un figlio non vale il voto che riporta a casa; un voto non racconta molto di un ragazzo. Cinque numeri, da sei a dieci, devono poter raccontare un anno di impegni e disimpegni, di volontà e svogliatezza, di riflessioni e inflessioni, di rinunce e determinazioni, di paure e coraggio, ma non sono in grado di farlo. Un numero schematizza, ingabbia, chiude un giudizio, stringe una valutazione in un recinto che è poi il vincolo del giudizio di insieme della classe. I voti fanno star male chi li mette e chi li riceve. Il voto divide, corrompe, separa, incrina,classifica.
Il voto disgrega il gruppo. Il voto cancella le storie, il cammino, lo sforzo e l’impegno del fare insieme. Alcune volte punisce, altre volte premia. Il voto esalta, ma al tempo stesso può umiliare, perché purtroppo, dimentica da dove si viene.
La votazione è sbagliata quando inciampa nel variabile umano: il voto deve essere utilizzato a ragion veduta, ma molte volte non risulta fattibile, perché sono troppe le variabili, troppe le riflessioni da fare e tanti i fattori da considerare.
Ciò che non bisogna dimenticare è che il voto non è la persona, e che quella persona, tuo figlio, dietro un sei o un dieci, racconta di sé molte cose, tanto altro: troppe volte, pero, viene ignorato quanto ci sia di umano, emotivo e psicologico dietro una “pagella”.