Quella che si preannuncia, in occasione del referendum costituzionale del prossimo autunno, è una vera e propria scelta di campo.
Infatti, il quesito referendario è estremamente complesso, per cui solo una parte della pubblica opinione nazionale è in grado di entrare nel merito della riforma, che si vorrebbe approvare.
Nel corso dei due anni, finora trascorsi, necessari per portare a termine l’iter parlamentare, molte cose sono state dette, alcune delle quali, certamente, inesatte.
Il Governo, che è il principale sponsor della riforma, voluta fortemente dal Presidente del Consiglio, ha sempre posto l’accento sui risparmi, che deriverebbero per effetto dell’eliminazione dei Senatori elettivi.
Risparmi, invero, grami dal momento che i veri costi non derivano dal fatto che i parlamentari siano di natura elettiva, ma dall’esistenza di un’imponente burocrazia senatoriale, che rimarrebbe in piedi, anche, qualora passasse la riforma.
Peraltro, è evidente che il principio del bicameralismo – sia pure largamente imperfetto – non viene minimamente messo in discussione da un’ipotesi siffatta di riforma costituzionale, che lascerebbe al nuovo Senato competenze in molti settori, relativi in particolare alla politica estera, per cui si può asserire, con assoluta onestà intellettuale, che il paradiso terrestre promesso da Renzi e dai renziani è ben lungi, comunque, dall’essere realizzato.
Ed, allora, perché i promotori del “Sì” chiedono il voto per una riforma, che forse fa più danni dei mali, che pure vorrebbe sanare?
Forse, perché si tratta di una conta, non solo all’interno del Parlamento, ma soprattutto all’interno del principale partito italiano, per cui interesse del Premier è quello di disegnare una vera e propria linea di demarcazione fra ciò che fu il PD e ciò che vorrebbe che sia nell’immediato futuro, nei suoi propositi più o meno espliciti.
È evidente che la scelta di un campo di battaglia, così problematico qual è la materia referendaria, pone degli interrogativi di non secondaria importanza.
Si può fare della Costituzione l’oggetto di una contesa fra renziani e dalemiani, fra anti-Comunisti ed ex-Comunisti del PD, come se la principale legge dello Stato fosse una cosa meramente privata, alla pari di un regolamento condominiale in presenza di condomini particolarmente litigiosi ed esacerbati fra loro?
È ovvio che la Costituzione vada riformata, ma appare altrettanto equo mettere in rilievo come il clima di lavoro dei Costituenti debba essere ben diverso da quello degli ultimi due anni: non si può piegare il futuro dello Stato italiano ad interessi che sono o appaiono, meramente, di fazione.
In tal senso, tutto il dibattito estivo intorno al quesito referendario è stato falsato ampiamente: si è parlato di scenari parlamentari e di Governo e poco o nulla si è detto nel merito di una riforma, che dà ulteriore autoreferenzialità al ceto politico e che, in particolare, premia oltremodo i Consiglieri Regionali, dando a molti di loro la possibilità di divenire Senatori e di godere, dunque, dell’immunità.
Forse, quando Renzi ha immaginato un Senato fatto di Consiglieri ha dimenticato tutti gli scandali, che – nel recente passato – hanno coinvolto gli onorevoli delle Assisi regionali di mezza Italia, dal Lazio alla Campania, dalla Sicilia all’Abruzzo, dalla Lombardia al Piemonte, dal Veneto all’Umbria?
Sembra quasi che sia stato dato un premio a chi, fra i politici italiani, si è distinto – ovviamente, come categoria – per maggiore livello di corruzione e per maggiore grado di esposizione a fenomeni criminali.
Si vuole risparmiare sulle indennità dei Senatori?
Bene: si dimezzi il numero odierno dei parlamentari (e, magari, anche le loro indennità), ma si preservi il principio del bicameralismo perfetto, lasciando una netta distinzione fra il Parlamento nazionale e le Assemblee regionali, che hanno il compito di legiferare su tematiche ben diverse da quelle di Camera e Senato.
Come si arguisce, la materia del contendere non manca: certo, gradiremmo che, nei prossimi due mesi, vengano illustrate meglio le distinte opzioni agli Italiani, che dovranno andare al voto.
Altrimenti, si corre il rischio di votare, a scatola chiusa, pro o contro Renzi ed, in questo caso, temiamo che il responso per il Premier possa non essere all’altezza delle sue legittime, ma infondate aspettative: il voto amministrativo di giugno docet.