Quella del PD è una minoranza divisa o, almeno, così si presenterà al prossimo referendum di dicembre.
Al suo interno, ci sono quelli che votano Sì per disciplina di partito, quelli che votano NO e quelli che devono, ancora, decidere cosa fare e che, molto probabilmente, non sapranno come muoversi fino al 3 dicembre.
È evidente che un simile atteggiamento non aiuta la credibilità di uno schieramento, che avrebbe dovuto fare dell’appuntamento referendario l’occasione giusta per contarsi e per dimostrare a Renzi che, forse, il suo idillio con la pubblica opinione nazionale è, davvero, finito.
Invece, ciascuno dei possibili protagonisti marcia in forma individuale e decide il proprio orientamento sul referendum in base a calcoli, meramente, egoistici.
Molti parlamentari della minoranza del PD rischiano, infatti, di non essere ricandidati alle prossime elezioni politiche, per cui ambiscono – magari – ad avere un posto in lista, confidando sulla generosità del Capo?
Se questi sono i presupposti, è chiaro che sarà sempre difficile promuovere una discussione, che sia franca e schietta.
D’altronde, il PD è alla vigilia di un importante Congresso e questo dato dovrebbe spingere i deputati ed i senatori a prendere posizione in modo netto, dal momento che il referendum stabilirà, ineluttabilmente, i rapporti di forza successivi fra la maggioranza e la minoranza interna.
Finalmente, il principale contraddittore di Renzi, cioè il suo predecessore, Bersani, stamane ha ufficializzato la propria posizione, dichiarando – in un’intervista al Corriere – che la sua componente voterà per il NO.
Un decisione, questa, che era attesa da tempo, dal momento che l’auspicato scambio fra il voto favorevole alla riforma costituzionale e le modifiche alla legge elettorale non è avvenuto e, molto probabilmente, non si consumerà prima del voto referendario.
Pertanto, nel PD, finalmente, si è consumato un atto, che si attendeva da mesi, ma che poco o nulla va ad incidere sugli esiti della campagna elettorale, visto che il tratto essenziale di un voto referendario – cioè la libera espressione della volontà del singolo elettore – non deve, in alcun modo, interagire con la dinamica interna ad un partito, che risponde ad altri interessi ed a logiche differenti.
Certo è che Renzi, adesso, potrà tornare ad usare i temi della rottamazione, per additare i suoi avversari al giudizio della pubblica opinione nazionale, ma siamo sicuri che, fra le garanzie costituzionali ed i regolamenti di conto renziani, gli Italiani sceglieranno i secondi a danno delle prime?