di Mario Piccirillo
Per 47 minuti gli ultras – nello specifico gli ultras del Napoli – fanno gli ultras, niente di diverso dalle solite manfrine da copione: un branco ad alimentazione vicendevole, dito medio alzato, bastone in mano, faccia “travisata” (come dicono “gli sbirri”), lanciano, aggrediscono, rompono, inveiscono. In generale corrono di qua e di là, spesso a capocchia, rimbalzando senza coscienza come le biglie in un flipper. Li avete visti migliaia di volte al tg, niente di nuovo. Solo che il 3 maggio 2014, a Roma, mentre gli ultras fanno gli ultras, un ragazzo viene ucciso a colpi di pistola da un pazzo criminale, un ultrà della Roma. Quella sera si gioca Napoli-Fiorentina all’Olimpico, finale di Coppa Italia. Le immagini e i suoni di quella sera, solo quelli in diretta, dei cellulari di chi c’era, della Polizia, delle tv allo stadio, sono stati montati in un documentario che si chiama “L’Ultimo stadio”, trasmesso domenica sera su Sky Atlantic, disponibile anche on demand. Sì, è la sera dell’omicidio di Ciro Esposito. Esatto.
Non c’è commento o narrazione, se non le scelte di montaggio che deviano brevemente dalla stretta cronaca solo per evidenziare con qualche secondo di bianco e nero rallentato il ruolo di capobranco di Gennaro De Tommaso in arte “Genny ‘a carogna”. 47 minuti di stato di fatto, di verità registrata: è il contesto che si racconta da sé, il focus è quello. Non la cronaca nera, non Ciro Esposito. I protagonisti sono gli ultras, nella loro ordinaria follia. Gestiti alla meno peggio da uno Stato che tollera quasi tutto giustificando la sua debolezza sistemica con “il mantenimento dell’ordine pubblico”. 47 minuti di ennesima figura di merda per gli ultras per quello che fanno, per lo Stato per quello che non fa, per le società di calcio per quello che non dicono e per i giocatori per quello che subiscono.
Sia chiaro, in un’operazione del genere è compreso tutto il pacchetto di possibili reazioni: il rinnovo uso social dell’indignazione a orologeria, la visione “di fazione” con strascico di accuse incrociate, la petulanza da sagrestano del “poveri tutti”, la noia del cinico disilluso che ne ha viste tante e troppe e quindi sticazzi.
Però è successa un’altra cosa, il giorno dopo la messa in onda: sotto gli studi di Sky, a Milano, gli ultras della Curva A hanno piazzato uno striscione: “3-5-2014 – Lucrare su ciò che è stato… Questo “L’ultimo stadio”… Sciacalli”. Ed è questo il punto di non ritorno, ancora una volta inaccettabile: sono gli ultras, sono loro che “lucrano” sulla morte di un ragazzo, sono loro che si nascondono dietro il fatto di cronaca nel tentativo di mimetizzarsi in una realtà che li inchioda come con-causa di una morte insensata. In una meta-reazione perfetta: accusati dalle immagini di essere ultras, rispondono esattamente da ultras. Come se il problema – al netto di uno che spara ad un altro – non fossero loro, non fosse la loro etica della violenza fondata sul nulla, i loro valori posticci, la loro “mentalità”. Ecco, se almeno quando parlano le immagini loro stessero zitti. Almeno il silenzio, almeno quello, sarebbe bello riuscire ad imporglielo. Fosse anche solo per un fisiologico reflusso di civiltà, quella roba che in 47 minuti non si vede mai. Mai.