“Accadde però che la Ribellione si realizzasse molto prima e molto più facilmente di quanto chiunque avesse previsto”.
Così George Orwell nel celebre libro “La Fattoria degli Animali”. Gli animali che vogliono ribellarsi all’essere umano, si organizzano, e lo fanno, senza pensarci più di tanto, senza nemmeno rendersene davvero conto. Il calcio non è esattamente così. Ci sono interessi economici e politici alle spalle, fatturati che spostano gli equilibri, variabili a non finire che cambiano le cose in maniera troppo casuale perché si possa trovare l’equazione esatta. E poi c’è il Napoli. Attenzione, non si sta dicendo che il Napoli è la squadra più forte del campionato, al punto da stravolgere gli equilibri, ma quanto può essere bello vederlo giocare.
La rivoluzione che Sarri ha portato nel gioco, si riflette ora anche nella mentalità. Quando Insigne, dopo appena 5 minuti di gioco, ha trafitto Donnarumma con uno spettacolare sinistro, il boato di San Siro è stato impressionante. Come se si stesse giocando al San Paolo. E questo è perché la gente ci crede, e si diverte. Sono finiti i tempi in cui si andava a San Siro a tremare, a cercare di strappare un punticino risicato; ora siamo noi quelli da battere, quelli che tremi quando li vedi arrivare, quelli che, come sbagli un mezzo movimento, si infilano alle tue spalle dopo 9 minuti, tunnel al portiere e partita chiusa. La rivoluzione Sarrista. Forse non arriverà a un compimento definitivo solo per il fatto che il gioco è così bello che specchiarcisi dentro a volte diventa un atto naturale, un riflesso incondizionato. Però è evidente che la strada intrapresa sia quella giusta, perché man mano che si va avanti, l’uomo in tuta che era stato messo alla forca ancor prima di arrivare, sta ridicolizzando tutti i luoghi comuni sul Napoli, sebbene poi c’è ancora qualcuno che riesce a trovare qualcosa da criticare. “Non sappiamo giocare con le piccole che si chiudono”. Questa frase, ad esempio, risuona ancora oggi, eppure vi inviterei a vedere le partite giocate dal Napoli quest’anno; quelle non vinte sono frutto di situazioni sfortunate (vedi Sassuolo, Lazio, Pescara, Genoa) o di approcci completamente errati (Atalanta); ma di partite in cui il Napoli si è limitato ad uno sterile possesso palla senza riuscire a trovare gli spazi giusti non ne ricordo. D’altronde, non ce ne sono. Perché la grandezza di Sarri sta nel compiere questa rivoluzione meravigliosa anche dentro di sé, cambiando qualche dettaglio nel suo sistema di gioco per adattarsi all’avversario, per mettere alla luce il suo punto debole, e trafiggerlo alla prima occasione utile. E questa è stata assolutamente la chiave della partita di San Siro, nella quale il Napoli ha, almeno nella prima mezz’ora (che, per inciso, è stata una delizia per gli occhi), cercato di bypassare il proprio centrocampo, e di arrivare in porta con un lancio oltre la difesa per permettere a uno dei tre folletti davanti di prendere palla e far inserire gli altri due. E infatti è così che sono arrivati i due gol in dieci minuti che hanno annichilito il Milan: palla nello spazio per Mertens, visione di gioco sovrannaturale in entrambe le situazioni, palla una volta a Insigne, l’altra a Callejon, stesso risultato finale. Poi la palla per chiuderla definitivamente l’ha avuta proprio il folletto belga, ma l’ha malamente sprecata. E il motivo si può ricercare in quell’estetismo di cui sopra, di cui si alimenta e in cui a volte rischia di perdersi la macchina perfetta che il Napoli sta provando a diventare. Ma il motivo reale è che Dries stava cercando di sfatare un altro luogo comune ancora in voga negli ambienti più “colti” della critica partenopea e nazionale. “Non sappiamo vincere soffrendo”. La partita di Sabato sera ha zittito anche questa massima; il Napoli ha preso gol dopo 37 minuti di gara, ha fatto sfogare il Milan fino al decimo della ripresa, rischiando qualcosina ma proponendosi anche bene in ripartenza, e poi ha addormentato completamente il match, lasciandolo scorrere sui binari che preferiva per portare a casa tre punti clamorosamente importanti. Ovviamente, negli ambienti “colti” hanno trovato comunque il modo di criticare, dicendo che non si può soffrire così, che questa squadra stenta a crescere e che ha vinto con una buona dose di fortuna. Ma si sa, le persone “colte”, i sedicenti professori di calcio, vivono delle critiche che fanno, ogni giorno, tanto, secondo loro, la gente non si ricorderà di quante volte hanno cambiato idea. E poi, che Rivoluzione sarebbe se non fatta prima contro il nostro masochismo?