L’antinomia “politica-non politica” è uno dei punti, invero, essenziali del dibattito filosofico degli ultimi decenni.
Il secolo scorso, infatti, aveva imposto il primato della dimensione politica su tutte le altre sfere della vita sociale: dall’economia alla morale, ogni ambito della vita umana sembrava rispondere, unicamente, al primato ovvio della politica.
Oggi, per effetto della globalizzazione e della neutralizzazione delle istituzioni statuali, la politica non è più la prima attrice, ma rischia, molto seriamente, di essere la sorella minore dell’economia e della finanza, che la fanno da padrone indiscusse, visto che la vita risponde a logiche, meramente, economicistiche all’insegna dell’unico Dio del profitto e della rendita.
Così, progressivamente, la politica ha perso il suo antico primato, quello che le era riconosciuto sin dai tempi della Rivoluzione Francese e, quindi, dalla caduta del sovrano assoluto.
Infatti, la nascita degli Stati parlamentari e la conseguente divisione dei poteri pubblici aveva fatto sì che la dimensione della politica annettesse a sé qualsiasi altra articolazione della comunità e del vivere civile.
Dalla conclusione, invece, del Secolo Breve, questa dinamica sembra rovesciata: le aporie della politica e dei sistemi democratici hanno indotto l’implosione di un primato, che oggi spetta, appunto, al grande capitale, individuato quale “primum movens” della storia attuale.
Per tal via, non solo è caduta in discredito la politica, come esercizio culturale e come prassi intellettuale, ma risulta profondamente pregiudicata la qualità della democrazia, visto che la finanza e l’economia capitalistica, per loro intima natura, non sono – invero – dimensioni democratiche.
Così facendo, la qualità dei nostri sistemi istituzionali, nel corso di pochi decenni, si è notevolmente appannata, per cui non è un caso, se le grandi famiglie della cultura politica del Novecento, la socialdemocrazia ed il popolarismo cristiano-cattolico, sono andate in crisi, creando una condizione di vantaggio per movimenti populistici, che fanno della delegittimazione dell’esistente l’unico loro qualificante punto programmatico.
Non è un caso se, al primo turno delle elezioni presidenziali in Francia della scorsa domenica, né il candidato gollista, né quello socialista sono stati in grado di conquistare l’accesso al ballottaggio, per la prima volta nella storia della Quinta Repubblica Transalpina.
Come si evolverà, quindi, la triste condizione odierna?
Forse, continuando sulla via della facile delegittimazione, si giungerà ad un discredito che coinvolgerà tutto e tutti, per cui – in un brevissimo lasso di tempo – le nozioni stesse di Stato e di democrazia, almeno così come siamo stati abituati a conoscerle, appariranno sempre più velleitarie e prive di senso?
O, forse, si avrà un’inversione di marcia, per cui tornerà il primato della politica, ma purtroppo per giustificare un infelice modello – peraltro ossimorico – di democrazia autoritaria?
Non è dato, purtroppo, conoscere gli sviluppi dei prossimi decenni, ma certo siamo giunti ad un punto di svolta: l’antinomia “politica-non politica” rischia di essere quel pericoloso e lungo crinale, lungo il quale si gioca la partita del benessere civile del secolo in corso e gli esiti possibili non sono, per nulla, confortanti.