Mi è durato Natale e Santo Stefano, ma – come sempre – ne è valsa la pena. La mia non è la recensione di un accademico, mi manca la preparazione per potermela permettere.
E non è neppure la sintesi che, di un piatto, potrebbe fare uno chef stellato: mi manca, per questo, la sensibilità di centellinare la degustazione, sviscerando aromi e retrogusto che, ad un palato raffinato, suscitano delle parole messe sapientemente in fila come ingredienti di una ricetta.
Il mio approccio a un libro, è quello tipico della lettrice affamata: colmare una lacuna, soddisfare un bisogno primordiale. E, il benessere che ne consegue, è quello di chi, a digiuno da giorni, si ritrova all’improvviso davanti una prelibatezza a sua intera disposizione.
E così, come faccio ogni volta – nonostante i buoni propositi, l’ho divorato.
Iniziamo dal titolo: “Souvenir”, ricordo. Un oggetto, un’immagine, un qualcosa a testimonianza di un momento che si è vissuto, che si è impresso nell’anima, e che si conserva a memoria, per poter – al solo sfiorarlo – rievocare la dolcezza di una sensazione provata, al di là del tempo e dello spazio. Come si fa a definire “giallo” o “noir” quest’ultimo capitolo della saga de “I Bastardi di Pizzofalcone”? A quanto pare, è l’autunno, la stagione che più ispira Maurizio de Giovanni. Come ne “Il giorno dei morti”, è l’autunno che lo porta a toccare le corde più sensibili dell’animo umano. Souvenir è il breviario da tenere sotto mano quando, da peggiori giudici di noi stessi, ci laceriamo la coscienza nell’eterna dicotomia sull’opportunità di portarci dietro, come bagaglio, un rimpianto o un rimorso.
È la riflessione a cui tornare, tenendo presente che, in questa vita, nulla è assoluto: quello che per qualcuno può rappresentare un rimorso impietoso con cui fare i conti, per qualcun altro potrebbe essere un rimpianto di poco conto. Come una cartolina dimenticata nel fondo di un cassetto, che più di un sorriso non strappa, quando salta fuori.
Ma è pur vero anche il contrario.
Sta tutto nella sensibilità di ognuno, quindi, come affrontare – di volta in volta – questa vita che va sempre, comunque, vissuta. E le conseguenze, inevitabili, che ogni scelta porta con sè. Conseguenze che possono durare un giorno, un mese, una vita. O andare oltre, e coinvolgere le vite di altri.
Ancora una volta, dall’inchiostro della penna di Maurizio, viene fuori un quadro di puntini da unire. Una mappa da decifrare, per arrivare a una soluzione che va oltre il maggiordomo, o l’impensabile colpevole di un classico del suo genere. Una mappa che, nel suo percorso, porta il lettore ad esplorare sfumature e sfaccettature, riportando e rapportando, per forza di cose, ciò che legge al proprio vissuto.
I Bastardi sono così amati, sia nella versione cartacea che nella meravigliosa trasposizione in immagini, proprio perchè non sono i personaggi improbabili di un romanzo. Passioni, dubbi, riflessioni e azioni, sono quelle di chiunque. I Bastardi sono vivi, come sono viva io che sto provando a mettere per iscritto questo sapore agrodolce, conseguenza delle mie riflessioni personali, e come è vivo chi legge, con qualsiasi approccio lo faccia. In ognuno di noi ci sono le contraddizioni descritte, sapientemente, dall’autore.
A chiunque piace ritrovarsi in una frase, in concetto, nelle emozioni che vengono fuori da un libro: una favola è una favola, ma leggere di qualcosa che si è vissuto, che si è provato, che avremmo voluto/potuto scrivere noi, se ne fossimo stati capaci, fa di un libro, di “Souvenir” per la precisione, un BEL libro, forse il più bello della serie.