La cosa più fastidiosa del razzismo che impesta la maggior parte degli stadi italiani non è la manifestazione idiota di idee strampalate ma la generale tolleranza e la totale impunità di cui godono i responsabili.
Ieri, a Bergamo, in uno stadio che spesso e volentieri si contraddistingue per questo tipo di episodi, il bersaglio – al di là delle solite litanie su colera e terroni che ormai vengono derubricate come semplici sfottò da stadio – è stato Kalidou Koulibaly, il cui colore della pelle non ha trovato il gradimento degli ultras atalantini. Per cui, nella mente deviata di questi mascalzoni mascherati da tifosi, è stato giusto offenderlo e poi provare a colpirlo con una bottiglietta poi raccolta da Allan e mostrata all’arbitro Orsato.
Sarebbe ridondante e pure superfluo censurare ancora una volta questi atti piuttosto meschini e soprattutto sintomo di evidente analfabetismo culturale. Più che altro, nel silenzio delle televisioni a pagamento (per non parlare della stampa nazionale) che pure sborsano un po’ di quattrini per trasmettere le partite e preferiscono dedicarsi alla geometria durante le interminabili discussioni serali, bisogna constatare come nessuno dei candidati alla poltrona di presidente della Figc abbia sollevato il problema o abbia inserito nel programma elettorale la risoluzione di questa piaga ideologica che, nel resto d’Europa, non sarebbe affatto permessa.
Dall’elegante “scimmie” dedicato ai giocatori del Napoli a Verona fino alla bottiglietta di Bergamo (che tanto ricorda la monetina che colpì Alemao nel 1990), i vertici del calcio hanno deciso ancora una volta di non decidere, di soprassedere, di rassegnarsi a questa colonna sonora stonata e indecente che accompagna il campionato di serie A. Il dramma è che si sono talmente assuefatti all’ascolto che non ci fanno nemmeno più caso.