di Elio Goka
“Serafì, c’è uno che sta a fa’ na serenata. Io pure da giovane cantavo sotto una finestra che non s’apriva mai. E proprio vicino a una persiana, c’era una Madonna de coccio che piagneva, per via ch’era l’Addolorata. Finché una sera la finestra s’aprì e venne giù una secchiata d’acqua che n’altro po’ m’affogo. Restammo a guaddasse, io e la Madonnella. Io bagnato fracico, lei che piagneva. Me fidanzai con lei. Un amore che ancora me dura.”
In nome del papa re esce nel 1977, diretto da Luigi Magni e liberamente ispirato a I misteri del processo di Monti e Tognetti, un romanzo di Gaetano Sanvittore intorno ai fatti riguardanti l’ultima sentenza di morte decretata dal potere temporale. Il protagonista del film, che compone una trilogia completata da Nell’anno del Signore e In nome del popolo sovrano, è il cardinale Colombo da Priverno, interpretato da Nino Manfredi. In realtà, la località che attualmente si chiama così, fino al 1927 si chiamava Piperno. Forzatura, quella di Magni, che, in questo “refuso”, attualizza nell’ambientazione risorgimentale il nome della cittadina in provincia di Latina.
L’animo di monsignor Colombo è tormentato. Il suo non intervento, la sua reticenza, l’incapacità iniziale di scegliere dove spostare la sua autorità, se dalla parte del tribunale che deve giudicare i tre attentatori rei di aver fatto saltare in aria una caserma di zuavi, o da quella della sponda popolare rivoluzionaria, quella che clandestinamente sostiene una rivoluzione in attesa che giunga la liberazione dall’oppressione clericale, a sua volta condizionata dalle presenze grigie di ordini interni provenienti dalle compagnie gesuite, quelle più autoritarie e oltranziste della Chiesa. L’inquietudine di Colombo diventa ancora più drammatica quando il cardinale scopre che tra i tre imputati c’è un giovane che è suo figlio, nato da una relazione con una donna della nobiltà romana; nel cardinale, che è il componente più giovane del tribunale supremo, albergano sentimenti contrastanti, ai quali lui stesso si dichiara “non pronto”, in una resa che si rivelerà la sua nuova conversione. Non soltanto religiosa, ma anche politica, civile e umana.
L’interpretazione di Nino Manfredi restituisce un Colombo da Priverno che per tutta la durata della vicenda riesce a malapena a trattenere l’inquietudine di un uomo per il quale la fede non è un dogma su cui si origina e poggia una teocrazia, ma l’insieme di valori rivolti al prossimo e per il prossimo. Non sul prossimo, come, diversamente, gesuiti e tribunale temporale impongono, anche attraverso ogni genere di violazione, a chiunque non si dimostri piegato e accondiscendente. E un personaggio dai tormenti così trasparenti non avrebbe potuto avere interprete migliore. Nino Manfredi, l’Attore, un genio della recitazione nato un secolo fa, a ridosso del compimento di un altro secolo, quello trascorso durante il Novecento che la sua grande figura ha coperto, consegnando al cinema, al teatro e alla televisione, un patrimonio destinato a dirsi sempre più prezioso.
Nino Manfredi è stato l’attore della sensibilità, quella sensibilità intelligente, pensante, che dalle sue diverse interpretazioni ha dato voce, espressione e movenze all’uomo afflitto, ma mai arrendevole; l’uomo proveniente delle esperienze rivoluzionarie, trascorso per le delusioni decadenti e rinnovato, con genuinità e bontà, ove mai non bastassero parole per ricordare che non bisogna vergognarsi di essere buoni e genuini, al cospetto delle promesse del dopoguerra.
Nino Manfredi, tra i più grandi attori del Novecento, è da ricordare come l’assunzione di una spiritualità lucida nelle percezioni e vinta perché votata a non cedere. Vinta, dì, ma da se stessa, non dagli altri. La contemplazione di quello che è stato l’uomo “minore” del ventesimo secolo. Pochi, pochissimi attori, avrebbero potuto rappresentarlo come ha saputo fare Nino Manfredi. La linea trasversale che unisce molti dei suoi film è questa. E la confessione di Colombo da Priverno è la summa emotiva e cerebrale di un’umanità che rischia di andare in disuso, ma, non per questo, estinta. Esisteranno sempre i Cornacchia Pasquino, i Michele Abbagnano, i Benedetto Parisi e tanti altri personaggi interpretati da Nino Manfredi alla Nino Manfredi. Esisteranno nel disparte dove l’intelligenza e la sensibilità di quella bontà e di quella ingenuità si elevano sopra i domini e le spietatezze. Con quell’amore “che ancora me dura”.