Ad Amleto De Silva

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di Elio Goka

E lo disse una volta mentre si parlava di un poeta caro a entrambi, che nella canzone napoletana c’è stato chi ha pensato di parlare ai morti, di porre frasi d’amore in evocazioni a innamorate perdute, tanto è stata potente la poesia dalle nostre parti. Disse che nella vita da scrittore e nella vita in generale grande è chi sa guardare le cose con poesia. E che i veri poeti li riconosci da quello. Quando non possono farne a meno di farti vedere le cose intorno alle cose. Che pure se scrivono un articolo di giornale, la lista della spesa, un biglietto di avviso, ci finisce dentro sempre qualcosa di poetico.

Lo disse discutendo di come il parlare sappia equivalere al vivere quando è autentico e genuino. E diventa una cosa che non si dimentica. Lo disse mentre raccontava che a Cassius Clay preferiva Sonny Liston. Non lo convinceva il dire per dire, il mostrare per vivere, ma gli piaceva chi non sembrava diverso da quello che era.

Lo disse sorridendo con le parole, come farebbe uno che ha campato abbastanza per sentirsi il vento freddo addosso e chiudersi il bavero della giacca per trovare sollievo, che l’amore è una cosa che va contemplata come Cyrano de Bergerac. L’amore per l’amore. Una lezione in punta di lingua a una realtà che spesso se ne dimentica, annaspando la generosità e la sensibilità dagli insaponamenti coi luoghi comuni. E lui, Amleto, li osteggiava tutti con quella leggerezza che aveva i pesi e i contrappesi di chi davanti a certi inganni ha imparato a declinare il verbo arrendersi. Ma nella sua accezione più alta. Di chi dà, ha dato, ma non si aspetta.

Per Amleto la letteratura di spalle doveva avere la testa un po’ rivolta indietro e quella frontale doveva dare un po’ del profilo. In un’ombra dove dovevano finire appese tutte le malinconie che si vedevano trapelavano da un’ironia coraggiosa e poco disposta a starsene a bada. Si sentiva tutto il disagio lucido di chi sapeva come dovevano funzionare certe cose, loro malgrado e a dispetto di qualcosa che invece era condannato a resistere nel tempo senza sapere se riuscire a durarvi. Quel disappunto era sistematicamente tradotto in visione amara e intelligente sopra le cose. Una passata di mano sopra una coltre di polvere. A dire e a leggere gli accaduti senza soffermarsi sulla mondanità del momento, ma guardando oltre. Pensare, disegnare, scrivere e parlare. L’ultradimensione del pensiero. Se tutto si combina come si deve, nascono gli Amleto De Silva.

Adorava Il Circolo Pickwick. Lo adorava per tante ragioni. E adesso torna di conforto pensare che ci sia finito dentro, per chiedere a Samuel di non chiudere ancora. Che valga la pena di scrivere un’altra pagina lontani da tutto questo. E pure io, quando lo rileggerò, alla prima ci immaginerò dentro Amleto.

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