Con la riforma della Buona scuola, portata avanti dal governo Renzi prima e da Gentiloni dopo, l’obbiettivo dell’alternanza scuola-lavoro doveva essere quello di avvicinare gli studenti al mondo del lavoro e renderli partecipi di quelle dinamiche lavorative lontane dal mondo scolastico.
Come fissato dal comma 33 della legge 107/2015 i percorsi di alternanza scuola-lavoro sono attuati negli istituti tecnici e professionali per una durata complessiva, nel secondo biennio e nell’ultimo anno del percorso di studi, di almeno 400 ore e, nei licei, per una durata complessiva di almeno 200 ore nel triennio. (fonte istruzione.it)
Questa manovra ha già dato i suoi primi risultati dai riscontri brillantemente negativi considerate le esperienze degli studenti e le critiche di alcuni insegnanti.
Più che parlare di alternanza scuola-lavoro si parla ormai di alternanza scuola-sfruttamento.
I ragazzi piuttosto che toccare con mano realtà lavorative che di lì a pochi anni potrebbero averli come protagonisti si rendono conto che il mondo del lavoro non dà nulla, un coacervo di conoscenze apprese a scuola resi inapplicabili in quei contesti e una formazione completamente inesistente.
Anche la pedagogia più old school può insegnarci che il rapporto scuola lavoro è sempre stato un punto chiave della formazione dello studente, o almeno si è sempre pensato lo fosse, soprattutto per avvicinarlo al pragmatismo, alla vita della conoscenza che diventa pratica e tangibile.
Ma qui c’è poco se non nulla da applicare. C’è un sapere aleatorio che non può trovare spazio perché il mondo del lavoro ha un problema che non può essere risolto dalle scuole ma dovrebbe essere fatto dalle imprese stesse.
Qui invece ci ritroviamo ragazzi che frenano il ritmo di studio, che in un anno scolastico non è un gioco perché questa riforma crede ci sia del formativo nel dover fare volantinaggio per 12 ore, lavare e pulire bagni, per essere sfruttati come manovalanza da aziende che in questo modo evitano di pagare dipendenti perché utilizzano le ore che il governo gli ha regalato.
L’attenzione è stata chiamata dall’Unione degli studenti della Puglia con la campagna “A scuola non faccio l’operaio”. Viene qui criticato l’uso distorto di questo percorso che di formativo ha poco o nulla.
Nessuna regolamentazione dei diritti degli studenti, nessun Codice etico che regolamentasse le condizioni per proporsi come azienda e la conseguenza è che molti si sono ritrovati a regalare il proprio tempo ad aziende che non rispettavano assolutamente nulla.