di Giosuè Di Palo
Sabato 5 novembre attivisti da tutta Italia si sono riuniti a Napoli per manifestare contro guerra in Ucraina, inflazione e per le politiche ambientali. “Insorgiamo” il nome del corteo. Succede che, però, quello che inizialmente poteva sembrare come una normale forma di protesta, pacifica, corretta e stimabile si è trasformata in un inno all’inciviltà e al vandalismo.
Nel “quartiere bene” di Napoli le vetrine dei negozi di brand di lusso come Gucci, Louis Vuitton e Prada sono state imbrattate con salsa di pomodoro da un gruppo di giovani attivisti in segno di protesta per l’insorgere della crisi climatica. “Oggi abbiamo deciso di eseguire un’azione di disturbo a via Chiaia, con salsa di pomodoro sulle vetrine di Gucci, Prada, Louis Vuitton (…) un’azione di disturbo perché questi grandi marchi non hanno più ragione di esistere, in un mondo in cui muoiono migliaia e migliaia di persone al giorno a causa della crisi climatica il fatto che esistano catene i cui costi sono accessibili solo all’1% della popolazione è semplicemente inconcepibile. (…) Gucci, Prada, Louis Vuitton sono solo il simbolo di un’opulenza che avvantaggia solo i più ricchi e affama milioni di persone.”
Questo è ciò che si leggeva sotto l’ultimo post pubblicato dalla pagina Instagram @mezzocannoneoccupato_ , prima di essere rimosso, forse a seguito dei tanti commenti negativi ricevuti. Penso ci siano parecchi problemi sia per quanto riguarda la modalità di esecuzione di questa protesta che per l’idea di fondo che si porta avanti. Innanzitutto si legge, o meglio si leggeva, che l’azione di disturbo sia stata fatta perché “questi grandi marchi non hanno più ragione di esistere”.
Ma questo esattamente secondo quale criterio? Chi può stabilire cosa abbia o meno ragione di esistere? FridaysForFuture?. Andiamo, sù! Punto secondo: la mancanza di coerenza. Si è sempre parlato di inquinamento ambientale partendo, per quanto riguarda la moda, dalla nascita del fast-fashion, ovvero brand quali Zara, H&M, Pull&Bear che producono collezioni di vestiti utilizzando materiali di bassissima qualità, sfruttando la manodopera ed inquinando l’ambiente. Perché allora non si è decisi di partire da lì, da quei brand, per iniziare la campagna di sensibilizzazione? Perché non imbrattare Zara o H&M?
Quando si parla così tanto di sensibilità e sostenibilità ambientale perché non prendersela con i maestri dello sfruttamento lavorativo e i responsabili di uno spreco tessile inimmaginabile? Ma, soprattutto, e questo è il discorso che più mi preme affrontare, il fatto che esista qualcuno con disponibilità economiche tali da potersi permettere di acquistare prodotti da brand di lusso in che modo può intaccare l’economia in negativo? Perché dovrebbe creare un pericolo nei confronti dei ceti con un reddito inferiore? Semplice, non può.
E’ vero, esiste la forbice sociale, esistono dislivelli. Eppure non ritengo che il fatto che possa esistere gente come la Ferragni o Briatore possa sfavorire il mercato. Anzi. La cosa più inconcepibile di tutte è che si stanno promuovendo manifestazioni, cortei e atti vandalici in nome di un tema importantissimo quale la tutela dell’ambiente, senza in alcun modo parlare di come si possano fornire soluzioni concrete al problema.
Quello che auspico si faccia è una seria riflessione sui rischi ambientali, una riflessione trasversale e che non si fermi alla superficie. Che non faccia solo dire “si tratta di marchi accessibili all’1% della popolazione”. E’ troppo facile e tremendamente stupido prendere bombolette spray e imbrattare mezza città. Molto meno lo è confrontarsi con il mondo, cercare di capire come, nel concreto, si possa arginare un problema. Perché siamo tutti sulla stessa barca e navighiamo a vista. Creare fratture e distanze in maniera così netta non aiuterà di certo la causa.