di Alessandro D’Orazio
Ogni qualvolta si parli di malnutrizione è doveroso premettere non solo che il problema sia più diffuso di quanto si creda, ma anche che tale deficit non riguardi necessariamente la carenza di cibo o la mancanza di nutrienti fondamentali: nel bacino della malnutrizione rientrano, infatti, anche tutte quelle patologie tipiche dei Paesi industrializzati, come l’obesità e le malattie metaboliche.
Attualmente 821 milioni di persone nel mondo sono denutrite (quasi una su dieci) e due miliardi sono invece in sovrappeso o obese (2,5 su 10). Questo succede mentre a livello planetario circa un terzo del cibo prodotto viene sprecato, con poche differenze, in termini di quantità, tra Paesi in via di sviluppo e Paesi sviluppati. A cambiare è solo il momento in cui il cibo viene sprecato: se nei primi il 40% delle perdite avviene a livello della filiera produttiva, nei secondi più del 40% delle perdite si verifica a livello del rivenditore e del consumatore finale. Queste cifre sono doppiamente insostenibili, visto che gli alimenti buttati influiscono sui cambiamenti climatici generando l’8% delle emissioni totali di gas serra.
Secondo gli esperti, però, abbiamo ancora tempo per trovare delle soluzioni e metterle in atto, ma queste passano anche per un nuovo approccio al modo in cui ognuno di noi si rapporta con il cibo. Per fermare una potenziale crisi alimentare a livello globale non bisogna soltanto rivedere le attuali politiche agricole e di utilizzo del suolo, ma anche il comportamento dei consumatori. Rendere l’agricoltura sostenibile, ridurre lo spreco di cibo e convincere le persone a modificare la propria dieta, riducendo il consumo di carne in favore di una dieta a base vegetale, potrebbero fare la differenza nel prossimo futuro.
Un avvenire per l’umanità che si baserà anche su una dieta a base di cibi vegetali, come cereali integrali, legumi, frutta e verdura, oltre ad alimenti di origine animale prodotti in modo sostenibile con sistemi a basse emissioni di gas serra. Ció sarebbe garantito, peraltro, attraverso un ripensamento del sistema industriale di produzione alimentare, essendo oramai giunti al punto in cui nessun interesse economico può avere la precedenza sul futuro stesso dell’umanità e del pianeta che abitiamo.