Sin dall’antichità, le proprietà del petrolio hanno stregato così tanto gli uomini, da definirlo addirittura oro nero! Il suo immenso valore viene dal grande utilizzo che se ne può fare sia come fonte di energia per i mezzi di trasporto, sia come costituente di quasi tutti i cosmetici e prodotti chimici presenti sul mercato, da quelli impiegati nel campo tessile a quelli agricoli, da quelli per l’industria petrolchimica a quelli alimentari. Il petrolio è ovunque tra noi. È diventata una delle materie prime più utilizzate al mondo, e ancora non sono state trovate sostanze capaci di eguagliare le sue proprietà in termini di versatilità, prezzo e specialmente rendimento.
Eppure, non è tutto oro quello che luccica!
Innanzitutto, il petrolio, per il suo potenziale, è sempre stato e lo è tuttora oggetto di conflitti tra popolazioni per il suo approvvigionamento. Poi, come sappiamo, viene estratto da giacimenti petroliferi nel sottosuolo, i quali in media durano circa 20-30 anni: passato questo lasso di tempo, il pozzo prosciugato non serve più, e si passa a trivellare il prossimo. Quindi, è facile immaginare che prima o poi le riserve finiranno, non si sa precisamente quando, ma finiranno; e, visto che il mondo è ‘ingordo’ di oro nero, probabilmente non dovremmo aspettare moltissimo per rimanerne a secco.
La domanda da porsi ora è questa: di cosa sarà mai composto per essere così gettonato? È un liquido molto viscoso ed infiammabile, con colorazioni che vanno dal nero al verde scuro all’arancio e al marrone. Dal punto di vista chimico è costituito per la sua quasi totalità da idrocarburi -composti a base esclusivamente di carbonio e idrogeno-, legati tra loro in modo differente, e a seconda del tipo di greggio, per il restante 2 o 5% da elementi di natura diversa, come zolfo, azoto, ossigeno, e diversi atomi metallici.
Sono proprio tali sostanze che, durante la combustione nei veicoli o nelle centrali, emettono nell’atmosfera un ingente quantitativo di anidride carbonica, monossido di azoto, monossido di carbonio e tanti altri gas, che provocano l’effetto serra e l’inquinamento, di cui il nostro pianeta soffre! Per di più, l’estrazione è una tecnica molto invasiva per l’ambiente circostante, a causa delle perforazioni nel terreno che generano piccoli eventi sismici, ma soprattutto quando queste avvengono nei mari, danneggiando i fondali marini, senza tralasciare i danni causati da eventuali incidenti.
Proprio per questi motivi, da alcuni anni, gli studi si stanno concentrando su certe specie di batteri che mangiano il petrolio. Sono piccoli organismi che vivono un po’ in tutti i mari, ma si sviluppano in quantità particolarmente modeste vicino al petrolio e tutti insieme contribuiscono a degradarlo, metabolizzando gli idrocarburi sotto forma di acidi grassi, che integrano, infine, nella loro membrana cellulare.
Dunque, rendono l’oro nero meno dannoso per l’ambiente, favorendo il biorisanamento!
Ed i ricercatori dell’università del Texas, studiando i batteri che nel 2010 proliferarono nel Golfo del Messico dopo il disastro della Deepwater Horizon -che sversò nel mare 700.000 tonnellate di greggio-, sono riusciti a ricostruire il DNA di tali microrganismi e le varie operazioni di scomposizione del greggio per il loro fabbisogno.
In tal modo, è stato compiuto un passo rilevante nel campo della salvaguardia degli ecosistemi, in quanto questi semplici organismi sono il punto di partenza per la fabbricazione di sostanze chimiche in grado di cooperare con i batteri mangia-petrolio, velocizzandone l’azione, ma senza inquinare, come invece purtroppo accade con quelle utilizzate attualmente.