di Anna Iaccarino
Come ogni anno in prossimità del nuovo che arriva partiamo con auguri, programmi, speranze. Auguri? Pochi veri, molti formali, diversi forzati per entrare nel grande cerchio dove è utile esserci. Programmi? Costruiti per immaginare il grande salto che ti cambierà l’esistenza. Speranze? Spesso disattese e puntualmente rimandate alla ritualità dell’anno dopo.
Ma in qualche modo un appuntamento a cui, in varie modalità, nessuno rinuncia a far proprio. Personalmente, con gli anni, ormai non pochi, ho imparato a vederlo solo come un semplice grazie alla vita. Un semplice saluto al nuovo tempo, un cordiale ciao al quale spero che risponda con un saluto altrettanto gentile. Il miglior auspicio per contare su un nuovo amico che possa accompagnarti nei giorni a venire.
Nessun proclama per me, nessuna lista di richieste e aspettative, nessuna attesa di giustizia per le ferite attraversate, nessuno stravolgimento di tutto quello che la vita ha fatto di me e della donna che oggi sono. Il momento dello spartiacque tra l’anno che se ne va e il nuovo che arriva, deve partire proprio da questa consapevolezza di sé, a volte il primo stadio per solcare nuovi sentieri di ripartenza. Praticare la conoscenza del sé può migliorare in generale anche la visione del vivere.
Aiutare l’abitare dei giorni a vestirsi di briciole di gratitudine, che alleggeriscono dai residui mentali e allentino stress, ansia, corpi in attesa di ascolto, può essere una buona terapia. Più che declamare e reclamare progetti, desideri, grandi traguardi, forse mettere in campo piccole azioni può essere foriero di quei sottili cambiamenti, quasi impercettibili, che pian piano snodano gli intrecci silenti e ne aprono di volta in volta nuovi varchi di approdo.
Ma tutto questo non porta da nessuna parte se contestualmente non si procede anche ad un grande training di “pulizia”, l’unica premessa obbligatoria per cogliere l’opportunità di un cambiamento. Ovvero eliminare tutto quello che non è più parte di te, che non è più nutrimento, condivisione, bene reciproco, ma fardelli violanti, volti ingannanti, memoria macchiata. Quelle situazioni divenute nidi svenduti. Quell’umanità tradente di porti sicuri, poi sventrati. Forse i dolori più grandi.
Difficile, complicato e faticoso, liberarsene. Ma necessario per provare a proiettarsi verso l’attrazione di un nuovo influsso mentale, verso un diverso e ritrovato cammino di sé, meno programmatico, progettuale, ma più vicino a quel nuovo tempo che oggi parla di noi e in cui ridisegnare nuovi passi. Capire chi e cosa è diventata la nostra mente, delinearne i paradigmi limitanti e quelli liberatori, e attraversarne la vita che va incontro al nuovo anno. Esiste però anche una dimensione altra e più cruda quando ci si avvicina al nuovo anno, con la quale vorrei chiudere questa mia riflessione.
Quella senza la poesia narrante dei giorni di ieri e nuovi orizzonti, quando non ci sono parole, ma solo una condizione devastante che sbatte di fronte a un cambiamento radicale della propria vita, che non hai previsto, cercato, voluto. Ma che è arrivato come uno tsunami, lasciando persi e preda di domani senza certezza.
Affrontare il nuovo anno partendo dalla perdita del lavoro, da un licenziamento inaspettato, mancato rinnovo di un contratto, cassa integrazione, che anche quest’anno ha colpito tanti lavoratori, tra precari e cosiddetti sicuri, tante famiglie rimaste sole e che han sperato fino all’ultimo che l’incubo potesse risolversi.
E invece si sono ritrovati a vagare in una società che abbandona, con la paura di non avere più un’identità, di non essere più quell’uomo e quella donna di prima, di non poter più vivere in dignità di vita insieme ai propri cari. Il terrore di doversi reinventare partendo da zero, in una fase storica, immersa in una tragedia mondiale.
Ebbene, a questi va dedicato un nuovo anno di lotte per la conquista della dignità perduta, dei pezzi di vita mancanti, senza fronzoli e verità scontate ed artefatte.
A questi non serve declamare finto buonismo e princìpi di vita generici, buoni per l’occasione.
A questi serve vicinanza per guardare il mondo in faccia, al pari di tutti, senza essere indotti a scorgere “figure” dal buco della serratura. A questi serve il “diritto al diritto” che non fa differenze.
Una comunità di donne e di uomini è fatta di “figure” primarie e paritarie, non esistono attori principali e comparse. Esiste un solo diritto alla vita, uguale per tutti.