“E lei non vincerà mai le elezioni: gli americani hanno voglia di cambiamento, non importa se in peggio”. Angelo Petrella ha intuito quello che tanti giornalisti italiani, inviati negli Stati Uniti per le ultime presidenziali, non avevano neppure minimamente immaginato: la clamorosa vittoria di Donald Trump.
Petrella, nel suo ultimo romanzo, Operazione Levante (Baldini & Castoldi editore), mescola elementi reali e situazioni di fantasia per costruire una sorta di trattato di politica internazionale. Inserisce l’analisi tra le pieghe del racconto e ribalta un po’ gli stereotipi che vengono contrabbandanti con eccessiva disinvoltura da alcuni mezzi d’informazione nostrani, affascinanti più dal sensazionalismo che dalla necessità di approfondire le notizie.
Ne è venuto fuori un lavoro superbo, documentato, un perfetto incastro di personaggi (tra cui non manca una foreign fighters di Torre Annunziata) ed episodi che strizza l’occhio alle serie tv americane.
L’incipit della storia è l’attentato al Bataclan e il desiderio di vendetta di Stanley Kavanagh, un ex militare al soldo della Cia, che ha perso la moglie e la figlia durante il tragico concerto parigino degli Eagles of Death Metal. Da quel momento in poi, il ritmo diventa incalzante e la tensione cresce, la scena si sposta da Chicago alla Siria, ci porta nelle zone di confine dove si combatte e si ammazza per il petrolio, nei luoghi dove si tortura e si stupra senza pietà, alla ricerca del traditore che trama alle spalle dell’America mentre l’autore, con sapienza, dispensa il suo punto di vista sul terrorismo globale, sulle alleanze strategiche, sulle lotte tra le diverse etnie, sulle stanze dei bottoni in cui si decidono le sorti del mondo e si mette in moto la macchina della disinformazione.
Petrella, insomma, in questo libro, ha provato a indossare i panni di Le Carré, mostrando, tuttavia, una straordinaria capacità di saper adeguare linguaggi, codici (anche informatici) e storie ai tempi moderni, pur non tralasciando una prosa molto ricercata in alcuni punti dell’opera. Oggi che la letteratura nazionale oscilla tra gli esercizi di stile, le autobiografie travestite da romanzi di formazione o il sentimentalismo con i morti ammazzati, l’operazione messa in piedi da Petrella ha il pregio dell’originalità e il gusto della sfida verso una realtà editoriale omologata e impantanata.
Bisognerebbe semplicemente prendere atto che, allo stato attuale, la vera letteratura risiede in prodotti televisivi come House of Cards o Homeland che sanno raccontare i conflitti su scala internazionale, i segreti del potere, la perfidia di chi comanda, con un linguaggio diretto, senza fronzoli o formalismi inutili, meglio e più onestamente di tanti libri poco autentici e tanto noiosi.
In questo contesto, Petrella ha il merito di catapultare nel panorama italiano una ventata di novità, evidenziando ancora una volta il suo talento e la sua duttilità. Si conferma il più americano tra gli scrittori nazionali, essendo capace di dare del tu a Ellroy o Winslow, ma soprattutto, come Veraldi qualche tempo fa, dimostra che il confine tra un ottimo romanzo e una buona sceneggiatura è sempre molto sottile e che la finzione supera molto spesso la realtà.