di Pasquale Di Fenzo
Canto notturno di un tifoso errante, anche se non ha potuto accompagnare la sua squadra a Roma: “Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi che fai, silenziosa luna?” Perché non ti tingi d’azzurro pure tu? Ovvero, il lunedì del villaggio. Eh si, perché oggi il buon Giacomino si troverebbe in difficoltà a descrivere la vigilia della festa nel suo villaggio calcistico.
Il sabato, giorno di attesa per antonomasia, ormai può capitarci tra capo e collo, imposto, in ogni momento della settimana. Una specie di Deserto dei Tartari all’incontrario. Forca e farina, in vista della festa. E non è detto che arrivi. Ma lo si aspetta. Sempre e comunque. Dopo anni di attesa, avemmo la fortuna di godere delle grazie del più grande di tutti i tempi. E se Leopardi e Virgilio scelsero Napoli quale loro ultima e definitiva dimora, non a caso. persino il romanista Nerone aveva eletto la città di Partenope a palcoscenico ideale per il suo debutto artistico.
Siamo quindi di bocca buona. Abituati al meglio. E non solo nel calcio, dove, anche se non abbiamo vinto tanto, abbiamo vissuto il meglio del meglio. Questo Napoli si basa sulla geometria, ma non esclude la fantasia. Sfrontatezza? Presunzione? Utopia? Forse. La palla che corre da un punto ad un altro del campo disegnando figure che possono essere precise o imprecise, certo fissate nell’aria, effimere e al tempo stesso reali.
La speranza che il calcio muove, riguarda la possibilità che la geometria del gioco, tingendosi di fantasia, diventi perfetta, perché il calcio stesso è utopia, qualcosa che può anche non esistere, da attendere, fiduciosi, senza mai smettere di sperare. Prima o poi arriverà l’affondo di Osi, o la sgroppata di Kvara, oppure la piroetta di Lobo, che girandosi su sé stesso, si libra in aria e si libera degli avversari. Persino la parata di Alex ci aspettiamo, anzi, ci spetta, come il muro difensivo eretto da Kim e dal fantastico Juan al quale chiedo personalmente scusa per non aver creduto in lui.
Siamo degli eterni fanciulli, “pascolianamente”, innamorati del bello. La vittoria non è l’unica cosa che conta ad ogni costo. Questo concetto non ci appartiene, lo lasciamo volentieri ad altri. Certo che ci piacerebbe vincere. Vincere equivale a un’iniezione intramuscolo di gioia, un attimo di felicità. L’attesa della vittoria è una flebo di serenità, un’ emozione di speranza. Ma l’attesa della vittoria è già di per sé una vittoria. Il gol è l’esplosione di un momento, ma è l’azione che lo precede, la sua attesa, che ti fa godere fino in fondo l’istante magico,
La stessa sensazione che ti può dare il solo corteggiare una bella donna, mandarle dei fiori, farle dei complimenti, invitarla a cena, con la speranza, anche soltanto la speranza, di un dopo cena all’altezza. Quest’anno il Napoli ci ha invitato tutti a cena, a spese nostre, “ce va sans dire”. Se ci sarà un dopo cena all’altezza delle aspettative è tutto ancora da sperare, da dimostrare e, nel caso, da gustare. Per il momento, “cuoncio cu ‘a signora”, anche se siamo già ben oltre l’aperitivo. Buon appetito!