di Giosuè Di Palo
Le scuole, ormai, hanno riaperto. A ragion o torto Draghi ha deciso così: per la didattica in presenza. “Qual è il senso di chiudere le scuole se tutto il resto è aperto” così si è espresso lo stesso in conferenza stampa dopo le pressioni mediatiche dei giorni precedenti gli inizi di gennaio.
Personalmente sono sempre stato contrario alla riapertura delle scuole subito dopo l’epifania, avrei aspettato il picco di contagi, continuato con le vaccinazioni e solo poi, riaperto. C’è un dato però che in pochi stanno trattando in questi giorni e che è destinato sicuramente a far discutere perché oggetto di numerose incomprensioni e malumori. Da un lato troviamo il decreto del Governo emanato il 30 dicembre che ha riscritto le regole della quarantena, nei fatti azzerandola per vaccinati con terza dose o seconda da meno di centoventi giorni o guariti da meno di quattro mesi; dall’altra la nuova circolare congiunta dei Ministeri di Salute e Istruzione che dispone per i bambini delle elementari, in caso di contatto con almeno due positivi in classe, la didattica a distanza per tutti e indistintamente.
Ma la circolare non si ferma a questo, altrimenti sarebbe anche comprensibile. Viene infatti stabilita per la classe intera a contatto con i positivi, quarantena con obbligo di eseguire un test antigienico. E qui arriva il paradosso. Prendiamo ad esempio Marco, bambino di dieci anni che ha completato il ciclo vaccinale con la terza dose. Marco entra in contatto con un positivo in palestra dove si allena. Non scatta alcuna quarantena, ma la famosa “auto sorveglianza” che non gli impedisce di seguire regolarmente le lezioni a scuola in presenza. Adesso passiamo a Giulia, altro nome di fantasia, che ha anche lei terminato il ciclo vaccinale ma che è entrata in contatto con positivi a scuola, in classe sua. Per lei, al contrario di Marco, oltre alla dad anche la quarantena. Perché, visto che entrambi si sono sottoposti alla dose booster?
Questa è solo una delle domande legittime che genitori e famiglie intere si stanno ponendo in questi giorni nel caos delle riaperture. Genitori che dovranno riprogrammare la vita loro e quella dei loro figli di giorno in giorno, senza un criterio. Alternando giornate di lavoro a smart working, ove consentito, per restare a casa coi bambini. E il problema non è solo logistico, ma anche e soprattutto un problema didattico. Perché se ogni classe deve vivere nella costante attesa e ansia del giorno dopo, senza sapere se si potrà o meno continuare la didattica in presenza, ciò vuol dire che di questa situazione di incertezza ne risentiranno anche i programmi scolastici, costretti a subire numerose e repentine modifiche.
Verifiche previste per una determinata data costrette a saltare, lezioni da dover riprogrammare. Ed è questo il vero problema di questa volontà di riprendere a tutti i costi la didattica in presenza. Che, nel marasma di regole e grovigli burocratici, l’unica istituzione a risentirne veramente è proprio la scuola.