di Christian Sanna
Non basta fare di più, bisogna fare meglio. E possibilmente farlo in modo diverso. Spiazzante. Originale. Esente da contromisure. Molti sembrano fatti in serie, eppure in principio si professavano unici.
In alcuni casi, senza neanche accorgersene, si ritrovano ad essere copie delle copie, con gli originali dimenticati nello spazio di un’età in cui tutto era spontaneo, naturale, destrutturato. Incapaci di creare la moda, la seguono; uscire fuori dal gregge non ti rende meno pecora, ma un pò più solo. Come se la solidudine fosse l’ergastolo con se stessi, condannarsi a scontare la pena con qualcuno che non ci piace.
L’essere umano ha problemi con se stesso, elementari e assai gravi: non si conosce e non si accetta, quindi non accetta ciò che non conosce. Non scende abbastanza in profondità per paura della verità e quando si teme la verità ci si consegna anima e corpo alla menzogna. Da qui la messa in scena! Ognuno recita la propria parte, ma non necessariamente tutto si trasforma in finzione.
C’è chi finge come se stesso e c’è chi è attore pessimo, senza un briciolo di talento e di credibilità. La solitudine, quando ci si isola per scelta propria, non deve inquietare gli altri perchè è un valore, lo stadio successivo in cui si cresce e si prende coscienza di chi si è, da dove si viene e in quale direzione si desidera andare.
Quelli che recitano la profondità restando nella superficie di un dialogo poco onesto con se stessi per il timore della solitudine si condannano ad un altra forma di solidudine, quella condivisa. La solitudine di coppia, trio, gruppo. E’ una solitudine di tipo spirituale e psicologico, talvolta fisico; vivo con una con cui non c’è dialogo intimo, non c’è comprensione, non c’è complicità, non scopo. Insomma, non c’è felicità ed è tutta una negazione (basti pensare a quanti NON un esteta come me si è masochisticamente condannato), ma una MESSA IN SCENA, talvolta ben sceneggiata (in quei casi in cui i protagonisti sono dotati di una certa raffinatezza intellettuale? Culturale?
Di certo di indubbie attitudini alla finzione) funzionale alla spettacolarizzazione di un modello distrutto, devastato nella morale e nella credibilità da continue incoerenze comportamentali. Non c’è peggior solitudine di quella condivisa; due esseri umani separati in casa nell’anima e nella stima che non hanno più niente da spartire se non il peso di un fitto o una responsabilità genitoriale. Si è un pò più soli quando chi ci dovrebbe capire non arriva nemmeno lontanamente ad intuirci. Si è un pò più soli quando si è seduti accanto a qualcuno che amiamo da sempre e quell’amore non è ricambiato. Si è un pò più quando ci aspettiamo che la realizzazione di se stessi venga dai riconoscimenti e questi tardano ad arrivare.
Non mi interessa parlare di Covid19, lo fanno già molto male da più di un anno gli altri, ma mi serve per un accenno alla famosa chiusura, il periodo in cui siamo stati costretti (dall’emergenza sanitaria) a stare a casa. In tantissimi sono stati male, hanno sofferto particolarmente quella situazione perchè forse a casa non si stava così bene. Molti non vivono assolutamente quell’idillio familiare che si è portati in maniera fin troppo buonista a pensare; queste persone si sono sentite ancora più sole, perchè forse questa solitudine è parzialmente lenita dalla quotidianità: il lavoro, la palestra, gli impegni ricreativi, gli incontri clandestini con gli amanti o quelli alla luce del sole in cui tutti sanno, ma è più conveniente fingere di non sapere.
La solitudine talvolta è quel maestrale che spazza via la sabbia rosa per scoperchiare tutto lo squallore che preme e si fatica a tenere nascosto. Non basta fare di più, bisogna fare meglio e farlo in un modo diverso, spiazzante. Per esempio ammettendo la propria falsità, chiedendo scusa. Dichiarando di avere torto quando si cade nell’errore. Spiegando un fallimento. Perchè funziona così: chi vince festeggia e gode, mentre chi perde spiega, motiva senza arrampicarsi sugli specchi. Se uno non fa nulla per conoscere se stesso e non si guarda dentro, come può pretendere di non essere solo anche quando è in compagnia?
Come si può rispettare la solitudine di un altro se non si rispetta la propria? Ci libereremo dalla mediocrità solo quando impareremo a fare davvero i conti con noi stessi, quelli tenuti da sempre in sospeso, per paura di pagare una cifra troppo salata da far digerire al costruttore di castelli di sabbia che c’è in ognuno di noi. Per Antoine Rivarol “Ogni uomo che si eleva si isola”, come essere in disaccordo? Isolarsi per elevarsi, conoscere se stessi per raggiungere quella pienezza che permettere di concedersi agli altri in maniera spontanea, vera. Di rapporti costruiti sulla convenienza e sulla menzogna le persone spiritualmente un pò più mature ne hanno piene le scatole.