di Alfredo Carosella
Ogni anno ci sono tre o quattro milioni di italiani che acquistano il biglietto per andare a vedere il cosiddetto “cinepanettone”. Questo dato ci dice sicuramente qualcosa a proposito dello sdoganamento definitivo della volgarità ma anche riguardo al desiderio di leggerezza, sempre più diffuso. In tanti avvertono la pesantezza del vivere, la paura della precarietà e delle continue emergenze, e cercano un momento di svago sperando di potersi fare due risate e staccare la spina dai problemi, almeno per novanta minuti.
Ben vengano, quindi, le torte in faccia, gli scivoloni, le piccole disavventure di uomini e donne che sembrano come noi, e pazienza se dobbiamo sopportare volgarità di ogni tipo che non è il caso di stare qui ad elencare. Il fatto è che non c’è nulla di più distante di un “cinepanettone” dallo spirito natalizio. Non solo per quella sparuta minoranza che oggi sono i cattolici credenti ma anche per buona parte della popolazione che non vede l’ora che arrivi il 7 gennaio. Certo, in tanti conservano il piacere di ritrovarsi con le persone care, di preparare pasti gustosi, di scambiarsi doni davanti alle luci intermittenti dell’albero, di sorprendere i più piccoli travestendosi da Babbo Natale ma – è innegabile, e ce lo diciamo da anni – la magia del Natale sembra logorarsi sempre di più.
C’è chi contrattacca preparando gli allestimenti natalizi già a novembre, o non smontandoli affatto, sorprendendo così persino i responsabili del marketing che riempiono i supermercati di panettoni e pandori sin ad ottobre; ci sono gli immancabili volontari, gli angeli della solidarietà; c’è la comunità cattolica che si ritrova a contemplare lo stupore di un Dio che decide di farsi uomo; eppure, sembrano prevalere il disincanto, la divisione, certe volte il rancore.
È in questo clima che la Comunità Europea ha diramato – e poi, dopo le vibranti proteste, ritirato – le “Linee guida per una comunicazione inclusiva”, con le quali si invitavano le persone ad augurarsi un generico “buone feste” invece che un discriminatorio “buon Natale”.
Dopo l’accusa mossa al Principe Azzurro per molestie sessuali, visto che bacia la Bella Addormentata mentre dorme e quindi non è consenziente, possiamo immaginare che presto verrà cambiato il titolo della celebre commedia di De Filippo “Natale in casa Cupiello” in un più inclusivo “Festività in casa Cupiello”. Resta un dubbio: come farà Luca a chiedere a suo figlio Tommasino: “Te piace ‘o presepio?”. Ecco, a pensarci bene, già nel 1931 le nuove generazioni manifestavano avversità alle antiche tradizioni.
Anche se le linee guida sono state ritirate, resta il fatto che qualcuno ha fatto un primo tentativo di eliminare la parola “Natale”. La prossima volta che verrà proposto farà meno male, poi ancora meno, fino a diventare normale, come tante altre cose che ci sono state fatte digerire in questi anni. Si pensi ad alcune candidature per la Presidenza della Repubblica: sembrava impossibile proferire certi nomi, eppure c’è chi li ha fatti, suscitando proteste ma anche consensi e convergenze.
Tornando a parlare di cinema, c’è un film di una ventina d’anni fa intitolato “13 variazioni sul tema”, nel quale le vicende di un gruppo di persone alla ricerca della felicità, si intrecciano sullo sfondo della Grande Mela.
Il film di Jill Sprecher con – tra gli altri – J. Turturro, è diviso in episodi legati tra loro ed intitolati come se fossero capitoli di un libro. Nell’episodio “Conoscevo un tizio felice ma la sua felicità fu la sua rovina”, c’è il capo ufficio di una grande compagnia che non tollera la presenza di un suo sottoposto, ribattezzato sarcasticamente dai colleghi “mister sorriso”.
La grande colpa di mister sorriso è quella di essere un uomo felice nonostante tutto: ha un impiego modesto ma riesce a trovare sempre il lato positivo delle cose; i colleghi lo deridono per il suo atteggiamento gaudente ma egli non manca di regalargli i prodotti del suo orticello; è sposato da ventitré anni ma si emoziona ancora il giorno del suo anniversario. Insomma, un uomo così “altro” da tutti coloro che lo circondano, da spingere il capoufficio frustrato, separato e con un figlio tossicodipendente sulle spalle a licenziarlo in tronco.
Ecco: potremmo provare anche noi a trovare un motivo per sorridere e sperare, nonostante tutto. Per non farci divorare dallo spirito competitivo e divisivo dei nostri tempi, per non essere solo freddi consumatori/elettori da masticare e sputare via. Senza temere chi la pensa diversamente da noi.
A proposito: vi piace il presepe? Buon Natale!