di Sara Cerreto
L’Italia è un Repubblica democratica fondata su:
-Che lavoro fai?
-Il musicista.
-Ah, e basta?
La prima volta che ho messo le dita su uno strumento musicale può essere paragonata soltanto alla prima volta che, alle scuole medie, il compagno di classe, una bella mattina, si presenta col primo video porno in VHS, probabilmente rubato dalla collezione privata del padre, e lo passa sottobanco a tutti, fin quando quella videocassetta non diventa talmente usurata e appiccicaticcia che nemmeno il videoregistratore vuole più ingoiarla.
Soppesi lo strumento, ti tremano le dita e fai vibrare corde a caso, non sai nemmeno cosa stai facendo. Sai soltanto che ti piace.
Il paragone rende bene l’idea in quanto, e so che sembrerà strano ai profani della musica, posso dire di provare una sincera eccitazione quando suono. Quando ti riesce bene il primo giro di Do senza fare errori e ti senti un padreterno che nemmeno Jaco Pastorius nei tempi d’oro.
Da bambino attaccavo le cuffie al Pc, tenevo il basso senza amplificatore e strimpellavo. Ed ho continuato così fino a quando i miei strimpellamenti non sono diventati suono e poi musica.
Sono passati molti anni da quel primo approccio così sensuale al mio strumento musicale, fra un anno avrò terminato il secondo livello di conservatorio.
Dopo anni di calli e di dolori alle mani, dopo anni di rinunce e di sacrifici potrò finalmente dire di aver concluso un percorso che avrebbe dovuto permettermi di entrare in questo fantomatico mondo del lavoro di cui tutti parlano, questa Narnia sociale che si nasconde in qualche armadio chissà dove.
Dopo il tempo speso a cercare, posso dire di aver imparato alcune lezioni di vita che soltanto le delusioni profonde possono insegnarti.
Ho imparato che dignità non significa accettare di lavorare quasi gratis. Che, se hai bisogno della mia professionalità, devi anche pagarne il prezzo.
Ho imparato che le agenzie che ti telefonano e ti offrono di suonare in Orchestre prestigiose senza darti nemmeno il rimborso spese per la benzina che spendi per andare ogni volta alle prove, sono la morte della musica.
Ho imparato cosa significa dover uscire dalla Campania e dal campanilismo inteso come attaccamento ai valori malati che abbiamo in questa regione, dove chi è amico o parente di questo o quello sarà sempre una spanna avanti a te, anche se passi perfino la notte a studiare.
Ho imparato che, per fare un’audizione in un teatro, bisogna studiare per mesi e che, se quell’audizione ti va male, quel tempo impiegato a preparare movimenti e passi d’orchestra non te lo restituisce nessuno.
Ho imparato che non basta rifiutare un lavoro sottopagato per far cambiare il sistema. Perché, al mio posto, ci saranno altri musicisti che, pur di lavorare, accetterebbero anche una paga da miseria, senza capire che, purtroppo, è proprio su questo che le agenzie-vampire fanno leva.
Spesso mi chiedo dove sarei adesso se avessi scelto un percorso diverso, se avessi provato a seguire altre inclinazioni che avevo anni fa. Nei momenti di sconforto, mi rimprovero di aver sbagliato tutto. Ma poi ripenso a quel bambino e alle sue dita così piccine su quelle corde e mi arriva una specie di scossa, una nuova motivazione, una rinnovata luce negli occhi.
E così mi ricordo che io, proprio quel bambino, non lo posso certo deludere.