Colson Whitehead e i suoi ragazzi: storie di ingiustizie e di speranza

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di Maria Rusolo
Nessuno nasce odiando i propri simili a causa della  razza, della  religione o della classe alla quale appartengono. Gli  uomini imparano a  odiare, e se possono  imparare a  odiare, possono anche  imparare ad  amare, perché l’ amore, per il cuore  umano, è più  naturale dell’ odio.”
“ Io ho davanti a me un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza.
Ho passato l’intero fine settimana immersa nelle pagine dell’ultimo romanzo di Whitehead, I ragazzi della Nickel, che gli è valso il Premio Pulitzer 2020. Alla luce delle tenebre che avvolgono il mondo mi è sembrato che non si potesse non leggere e non cercare di capire, quello che pensiamo di conoscere, e di sapere di una realtà storica che ci sembra superata e lontana e che invece strisciante e pericolosa si muove nelle nostre vite.
La verità è l’unica arma che abbiamo, la storia l’unico strumento che non ci consente di ripetere gli stessi errori, drammatici, del passato. La narrazione, le immagini, le parole ci spingono nella direzione di non negare quanto è accaduto, con tutta la sua violenza, la sua assoluta e meschina ingiustizia. E’ l’aver voluto celebrare, in nome di un assurdo politicamente corretto, senza comprendere profondamente, senza insegnare quanto accaduto alle giovani generazioni, che ha impedito di rimuovere quegli ostacoli di ordine umano, sociale, culturale ed economico, lasciando tutto intatto sotto la calda superficie dell’asfalto, imbiancato da una supponente apparenza.
Siamo negli anni ’60, siamo calati fin dalla prima pagina nella battaglia per i diritti civili e per il superamento della segregazione, siamo introdotti in un ambiente che divide gli esseri umani in base al colore della pelle, e che cancella ogni possibilità di riscatto, ma come un vento fresco in una lunga estate calda, si snocciolano nel corso del romanzo le parole di libertà e di coraggio di Martin Luther King, assorbite, raccolte, da un ragazzino abbandonato dai genitori e cresciuto dalla austera nonna, in un quartiere difficile di una piccola città della Florida. Elwood è un ragazzo che conosce ciò che è giusto e ciò che non lo è, Elwood è pronto ad imparare più possibile per cambiare la propria vita e quella degli altri, ed anche quando il caso gli è avverso e si trova senza colpa ad essere rinchiuso in una sorta di Scuola di correzione, non accetta mai per un solo istante di soccombere e di farsi schiacciare ed omologare.
Questo suo modo di essere finisce per renderlo un eroe moderno, una persona in carne ed ossa, che lotta contro un sistema basato sulla violenza, sulla disumanità e sulla crudeltà gratuita e costante. In lui nessuna punizione cancellerà le parole della lotta, continuerà a leggere ed a scrivere, consapevole che solo attraverso la emancipazione e la conoscenza è possibile cancellare la Nickel. Quell’inferno non lo piegherà e trasformerà anche il suo compagno di prigionia Turner, in qualcosa di più di un semplice amico di sventura e di speranza. Intorno gli ultimi, gli emarginati, i parias, quelli che anche vivi alla fine del viaggio avranno sulla pelle, il fetore della mortificazione e della umiliazione e non riusciranno a trovare una possibilità di riscatto.
L’ambiente sociale e la fatica per emergere, per restare in piedi, la verità cercata a tutti i costi e da comunicare al mondo fanno il resto. Un finale che non ti aspetti e che ti lascia pensare a quanto accade ancora oggi in America, un uomo solo, con l’unica colpa del colore della pelle, lasciato morire su di un marciapiede caldo e fumoso, per il solo gusto di uccidere e di strappare dal petto ogni forma di dignità. Serve leggere e servono libri come questi, perché le parole non muoiono e sono le armi più potenti che abbiamo a disposizione.
“ Sono preoccupato per un mondo migliore. Sono preoccupato per la giustizia; sono preoccupato per la fratellanza; sono preoccupato per la libertà. E quando si è preoccupati di queste cose, non si può predicare la violenza. Perché attraverso la violenza puoi uccidere un assassino, ma non puoi uccidere l’omicidio. Con la violenza puoi uccidere un bugiardo, ma non puoi stabilire la verità. Con la violenza puoi uccidere una persona che odia, ma non puoi uccidere l’odio attraverso la violenza. L’oscurità non può cancellare l’oscurità; solo la luce può farlo.

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.