di Alfredo Carosella
Venti anni fa il regista Michael Moore provò a esaminare un fenomeno che difficilmente qualcuno potrà spiegare fino in fondo: i massacri nelle scuole americane. In tanti sostengono che per arginare il fenomeno basterebbe impedire la vendita indiscriminata di armi, ma Moore smentì questa tesi evidenziando che in Canada c’erano più armi che negli Stati Uniti, calcolandone la diffusione per numero di abitanti. Eppure, in Canada non viene in mente a nessuno di sparare su degli innocenti.
Nel film documentario “Bowling a Columbine”, dopo aver preso in esame varie ipotesi, Moore individuò una possibile causa delle stragi, nella cultura della paura alimentata dai giornali e dalle televisioni.
Sono passati venti anni e sembra non essere cambiato nulla rispetto al giorno in cui due ragazzi decisero di fare una carneficina nella scuola di Columbine, in Colorado, dopo essere andati a giocare allegramente a bowling. Molte altre sparatorie si sono susseguite in questi anni e l’ultima ha lasciato tutti sgomenti: in Texas un ragazzo di diciotto anni ha ucciso 19 bambini e due insegnanti che, a quanto pare, hanno provato a fare da scudo ai loro piccoli allievi.
In uno Stato dove è vietato abortire dopo sei settimane di gestazione, un ragazzo ha potuto comprare armi d’assalto e uccidere indisturbato 19 bambini tra i sette e i dieci anni.
Fa male sentire uno dei genitori delle piccole vittime gridare che “tanto non cambierà mai niente!”: conosce bene il suo Paese e sa che dopo l’indignazione tutto tornerà come prima. È già successo, succederà ancora.
È sorprendente sentire che la soluzione sarebbe quella di armare gli insegnanti: lo ha proposto il procuratore generale del Texas ma lo aveva già chiesto Trump nel 2018, dopo una strage di studenti in Florida. L’idea era stata già lanciata nel 2012 dalla Rna – la lobby delle armi – dopo che in Connecticut un ventenne uccise 27 persone, tra cui 20 bambini tra i sei e i sette anni. Ecco perché quel papà è così disperato: sa che il sacrificio di suo figlio non servirà a nulla. Anche se la Rna (National Rifle Association), fondata nel 1871 da ufficiali dell’esercito in pensione, sta perdendo potere. Non perché ci sia una presa di coscienza riguardo alla pericolosa diffusione delle armi, ma perché un amministratore delegato è accusato di aver sottratto 64 milioni di dollari alla sua organizzazione.
Resta, pesante come un macigno, un interrogativo? Perché le sparatorie di massa – così definite quando ci sono almeno quattro vittime – accadono solo lì? Secondo il Gun Violence Archive, negli Stati Uniti ci sono già state 198 sparatorie di massa dall’inizio dell’anno. Nel 2021 ne sono state registrate 693: due al giorno. È del tutto evidente che la semplicità di procurarsi un’arma costituisce un grave problema.
Quando c’è un incendio, prima si spegne il fuoco, poi si cerca di recuperare il salvabile, infine si indaga sulle origini delle fiamme. Analogamente, bisognerebbe agire in fretta e bloccare subito la vendita delle armi. Cosa fare, però, con l’immensa quantità di quelle già vendute? C’è chi calcola che ci siano 357 milioni di armi per 332 milioni di statunitensi e che più di un terzo di esse siano detenute dal 3% della popolazione adulta.
Conoscere i numeri può aiutare a inquadrare correttamente il problema: perché 7,7 milioni di americani hanno più di 17 armi a testa? Il Secondo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, che sancisce “il diritto dei cittadini di detenere e portare armi”, è stato ratificato il 15 dicembre 1791, dieci anni dopo le Guerre Sioux e la battaglia di Little Bighorn.
Qualcuno potrebbe far notare agli americani che la situazione è un po’ cambiata in questi 230 anni ma il problema, forse, è in quel 3% della popolazione armata sino ai denti: in coloro che si sentono sempre in guerra contro chiunque; in tutti quelli che vanno allo stadio, o partecipano a un corteo, cercando un qualunque pretesto per scatenare la violenza; in chi non esita ad aggiungere orrore all’atto inconcepibile dell’omicidio; in tutti quelli che amano il sangue, come ai tempi di Spartaco.