La cultura è stata, per millenni, uno strumento di esclusione: non possiamo, certamente, dimenticare l’uso che, in particolare, dell’istruzione si è fatto a fini sociali, allo scopo di comporre delle gerarchie, che poi si sono trasferite di generazione in generazione.
In tale ottica, l’uso, a fini aristocratici, delle competenze elementari del saper leggere, scrivere e far di conto è stato ridondante, tanto più quando non esisteva lo Stato moderno ed a essere responsabile della trasmissione della cultura era la Chiesa, che non poteva, invero, non favorire un modello elitario di possesso e di trasmissione dei saperi.
Poi, a partire dall’Ottocento, con la nascita della moderna società neo-industriale, le conoscenze sono divenute, progressivamente, un fatto di dominio pubblico, per cui si è avvertita l’esigenza di formare quei ceti sociali, che altrimenti sarebbero rimasti sempre esclusi dall’istruzione e che, dunque, sarebbero stati condannati ad un’emarginazione tanto ingiusta, quanto pericolosa per la conservazione dello stesso consesso civile.
Oggi, agli inizi del XXI secolo, la trasmissione della cultura serba ancora un significato, intrinsecamente, politico: la società e lo Stato, assai giustamente, avvertono l’esigenza di insegnare a leggere ed a scrivere, nella nostra lingua, a tutti quei poveri nostri nuovi concittadini, che provengono dai Paesi del Nord-Africa e dell’Estremo o Medio-Oriente, i cui figli, nati sul suolo europeo, saranno protagonisti, insieme ai nostri figli e nipoti, dell’Europa delle prossime generazioni.
Essenziale, ai fini dell’integrazione, è pertanto la qualità del sistema culturale, che lo Stato è e sarà in grado di mettere in piedi: non solo saranno necessarie ottime scuole, con docenti molto preparati e con dirigenti, che saranno capaci di organizzare un servizio all’altezza dei diversi compiti, ma sarà opportuno che un’intera architettura sociale venga edificata intorno agli sforzi della Scuola pubblica e laica, che altrimenti, di per sé, non sarà sufficiente per vincere la scommessa dell’integrazione dei “nuovi” Italiani ed Europei.
Peraltro, i numeri dei flussi migratori, come è evidente a molti, sono davvero ingenti: di fronte ad una diminuzione dei nati, il sistema scolastico italiano dovrà organizzarsi per garantire i rudimenti dell’istruzione a quanti hanno desiderio e volontà di mettersi in gioco, sapendo bene che, senza l’istruzione, essi rischiano di rimanere, sempre, un passo indietro agli altri.
Saprà la scuola insegnare a leggere e scrivere a migliaia di stranieri, che progressivamente diventeranno cittadini italiani, alla pari degli altri?
Siamo convinti, fermamente, anche partendo dalla nostra esperienza personale, che, nonostante le difficoltà oggettive, gli operatori culturali sapranno vincere questa sfida, per cui, nell’arco di una generazione, sarà assicurato il medesimo livello di conoscenze e di competenze civiche a quanti, oggi, sono portatori di un bisogno educativo speciale.
Peraltro, il mondo della scuola non può non vincere una tale scommessa, visto che è in gioco l’equilibrio della società dei prossimi anni: portare l’istruzione ad un bambino siriano o egiziano o asiatico, appena sbarcato sul nostro suolo nazionale, rappresenta la precondizione di un’integrazione, che poi dovrà essere completata nei luoghi di lavoro, in quelli del tempo libero ed, infine, a livello istituzionale.
Inoltre, non può sfuggire un fatto fondamentale: mentre i “vecchi” Italiani sono, a volte, demotivati e manifestano un interesse solo secondario verso la cultura, non ritenendola purtroppo più una loro priorità, i “nuovi” Italiani, invece, sono entusiasti di apprendere il nostro alfabeto o di imparare a relazionarsi con i loro concittadini, per cui – come sempre accade nella vita – le motivazioni e gli interessi fanno la differenza fra chi vuole imparare, non essendo purtroppo nelle condizioni ideali per farlo, e chi manifesta un atteggiamento non costruttivo verso il mondo dei saperi e delle conoscenze, sia teoriche che tecnico-applicative.
Per tal via, si porranno le premesse per un cambio di portata non secondaria: i figli ed i nipoti dei migranti diventeranno la classe dirigente del nuovo Paese, che si edificherà a partire dai bisogni odierni di quanti sapranno mettere in campo intelligenza e capacità di competizione rispetto a chi, invece, sarà sempre più abulico e refrattario a qualsiasi rinnovato ed utile apprendimento.
I maestri ed i docenti attuali, pertanto, non saranno solo portatori di istruzione, ma saranno soprattutto un veicolo di democrazia e di integrazione, sociale e culturale: sapranno, invero, essere all’altezza del loro compito molto delicato e, soprattutto, crediamo, saranno l’elemento di mediazione e di transizione migliore fra un Paese vecchio e svogliato ed uno nuovo, molto più giovane e più incline alle sfide del terzo millennio.