di Rosario Pesce
Quest’anno ricorre il settecentesimo anniversario della morte di Dante, il poeta per definizione simbolo della tradizione culturale e letteraria del nostro Paese, a tal punto che, per ricordarlo, basta appunto solo il nome.
I festeggiamenti non potranno che svolgersi in modo ridimensionato rispetto a quanto avrebbe meritato la fama del vate, vista la pandemia in corso, ma è evidente che siamo in presenza di chi rappresenta il vertice massimo della Poesia di ogni tempo.
Dante, meglio di qualsiasi altro autore, ha saputo fotografare l’animo degli Italiani: d’altronde, le dinamiche politiche e morali del Medioevo rappresentano una preziosa cartina di tornasole per la comprensione degli eventi delle epoche successive.
La divisione della società italiana fra guelfi e ghibellini è stata una costante non solo dei secoli medievali: anche, successivamente, gli Italiani infatti si sono divisi in modo netto in due fazioni, che difficilmente si sono reciprocamente riconosciute e questo fattore, certo, non ha giovato alla crescita della comunità nazionale.
Peraltro, Dante è stato ghibellino in un momento storico nel quale, dopo l’estinzione della dinastia sveva, quel partito era soccombente rispetto alla fazione opposta, a dimostrazione del fatto che, molto spesso, gli uomini di cultura non scendono a compromesso con il potere dominante e ne pagano un prezzo altissimo, come fu nel suo caso con l’esilio dall’amata Firenze.
Dante, per questo motivo, oltreché essere un campione dell’arte, lo fu soprattutto nel campo della morale pubblica: era, davvero, difficile per un artista cristiano – in quel preciso momento storico – sfidare il potere temporale della Chiesa e contrapporsi ad ogni principe o signore locale che fosse funzionale alla teocrazia papalina.
Per questo motivo, Dante è un simbolo che non scomparirà mai, oltreché per la bellezza impareggiabile di molte parti della Divina Commedia: fu il campione della libertà di pensiero in un’epoca nella quale il suo esercizio era oltremodo difficile e pericoloso.
Quanti Italiani saranno in grado di ricordarsi questo tratto essenziale del poeta fiorentino e di onorarlo come, giustamente, merita chi ha eccelso nelle arti e nel pubblico decoro?