di Maria Rusolo
“La cellula della riorganizzazione democratica è la comunità.“
“Noi siamo convinti che il mondo, anche questo terribile, intricato mondo di oggi può essere conosciuto, interpretato, trasformato, e messo al servizio dell’uomo, del suo benessere, della sua felicità. La lotta per questo obiettivo è una prova che può riempire degnamente una vita”
Oggi vorrei restituire un po’ di giusta misura a due uomini che in eguale misura, seppure su fronti diversi, ma poi neanche tanto hanno fatto la nostra Storia di Paese civile ed hanno reso una comunità riconosciuta e riconoscibile nel resto del mondo.
Non mi piacciono i riconoscimenti che giungono dopo la morte, non mi piacciono quelli che decontestualizzano il pensiero degli uomini politici e soprattutto non mi piacciono coloro che non hanno memoria e che oggi parlano come se sapessero, riconoscessero il valore di De Mita e di Berlinguer. Li pongo nello stesso pezzo, nella stessa riflessione, dato che vissuti in una fase politica precisa hanno agito pensando e cercando di assumere su di se delle responsabilità di azione all’interno di un sistema di gestione del Potere.
Certamente hanno contribuito a muovere la stagnante visione della società Italiana, si sono battuti per la mobilità sociale, nella quale la scuola e la istruzione divenissero patrimonio di tutti e per tutti, hanno creduto nella grandezza di un popolo ed hanno costruito l’ossatura del sistema democratico. L’uno nella Democrazia Cristiana e l’altro nel Partito Comunista. Li ho vissuti entrambi per motivi diversi. Berlinguer era il faro della mia famiglia, Comunisti seri e lavoratori, per noi non esisteva che la tutela delle fragilità e degli oppressi, ricordo l’emozione di mio padre quando lo ha incontrato e l’attenzione umana a quello che diceva e per cui lottava. Sono cresciuta quindi non votando Democrazia Cristiana, seppure nata nello stesso giorno di De Mita con un padre sindacalista che non mi hai spinto a pensare che quello fosse un mondo da negare, cancellare o avversare, anzi mi ha sempre spinto a credere che ci fossero molti più punti di contatto che differenze, spaventato e consapevole che lottare per distruggere una forza politica significava in qualche modo minare le basi della democrazia.
Le istituzioni si rispettavano, sempre. A De Mita invece mi ha avvicinato una campagna elettorale per le amministrative nel 2018, quindi in epoca molto recente. Non faccio parte e non ho mai fatto parte dei pellegrini che dovevano a lui tutto e che poi lo hanno disconosciuto in epoca recente, più per posa plastica che per la capacità di avere un pensiero libero e sensato. Avevo timore di parlare dinanzi a lui, ne riconoscevo l’acume ed anche la capacità di essere diretto, ma evidentemente nel parlare di cultura e di sviluppo possibile attraverso la bellezza, nel citare Sturzo e Moro, avevo risvegliato in lui dei ricordi ed ero riuscito a sollevare la noia che gli si dipingeva sul volto. Si era avvicinato alla fine del Convegno e ci eravamo intrattenuti per un bel po’ e questo sui giornali mi era valso il titolo di Demitiana, figurarsi il commento di mio padre al mattino nell’aprire i giornali.
Sono stati mesi bellissimi, di arricchimento, gli parlavo con apertura seppure con timore, lo confesso oggi apertamente. Mi trovavo al cospetto di un pezzo della storia del mio Paese e della mia terra, ho condiviso tutto quello che ha fatto? Non lo so ed onestamente non me lo chiedo, gli imputo di non essersi circondato spesso di persone capaci ed aperte alla rivoluzione sociale e culturale, ma piuttosto legate alla conservazione del Potere, questo si lo posso dire con assoluta onestà intellettuale. Non si poteva non apprendere, non si poteva non capire che tutto quanto accaduto andava analizzato alla luce di un preciso contesto storico, sociale; non si poteva ricordare che la mia terra era brulla ed arida e che seppure si erano dovuti accettare dei compromessi erano indispensabili per le condizioni preesistenti. Non amo le beatificazioni, lo ribadisco, detesto chi grida oggi con il solo scopo di aizzare le masse e spingerle in una direzione, senza dare loro la capacità di comprendere gli eventi.
Questi uomini sapevano ed hanno insegnato nel proprio cammino che si fa quanto si deve, lo si fa lavorando duramente e senza risparmiarsi e che bisogna avere come spinta quella di crescere e formarsi, di studiare e leggere senza mai arrendersi. Non conta l’età, non conta la generazione di appartenenza, conta la capacità e la competenza di gestire la cosa pubblica nel migliore dei modi possibili. Ora vedere le dichiarazioni dei Grillini in occasione della scomparsa del Presidente De Mita non mi fa sorridere, ma provoca in me un sentimento di ira funesta, chi doveva aprire le scatole di tonno, ha ben compreso che per giudicare uno Statista si deve avere intelligenza e capacità, ma soprattutto rispetto. Hanno distrutto l’ossatura di una comunità, avvelenato i pozzi, ed agito peggio di chi alimentava le clientele, le hanno rese connaturate al sistema foraggiando un assistenzialismo senza luce e senza crescita e futuro.
Ecco dinanzi a tutto questo servirebbe un atto di coraggio ed ammettere che ci si dovrebbe fare da parte e tornare nel dimenticatoio per ridare uno spiraglio di luce alle nuove generazioni. Ci mancherà De Mita, come ci è mancata in questi anni la voce di Berlinguer, a noi il compito di non lasciare andare i loro insegnamenti, seminando e riconoscendo il dubbio prima di cedere ad ogni pallida certezza.
„La politica di oggi si fa coi programmi. Ma i programmi non contengono la soluzione per la crescita di un Paese. La nascita o la rinascita di un Paese sta nelle parole. Perché le parole contengono le regole. E non esiste programma se prima non ci sono le regole.“