Quando è iniziata, già sapevo sarebbe andata a finire male. E non perché sia un pessimista, anzi. Realista, cinico; questo sì. Ci caghiamo sotto di giocare allo Juventus Stadium. (Scusate, avrei usato un termine diverso, ma non avrebbe reso l’idea così bene). Va a finire sempre che ti illudi, e poi ci rimani male. Però viviamocela sempre speranzosi, magari è serata di miracoli. Macché. Il primo tempo corre via con scioltezza, io e mio fratello ci chiediamo perché non riusciamo a competere con questi qua se ogni volta che ci giochiamo contro sembra, almeno inizialmente, sempre che siano loro a dover tener tosta a noi, e non viceversa. E infatti 0-1. Ci conoscono da anni, il taglio di Callejon sulla palla di Insigne è famoso pure Honolulu, e manco se lo imparano. Godiamo di questo, senza pensare che se non ha bisogno di studiarci per batterci, evidentemente conoscono altri modi. E infatti è così, vedrete che è così. Ah, va a finire che mi leggono, meglio essere imparziale. L’unghia di Callejon era in fuorigioco, pare (pare, sottolineo); dovete scusarci, sapete com’è, siccome noi a Napoli non lavoriamo il martedì perché è il giorno in cui si suona il mandolino, il ragazzo oggi non si è potuto far tagliare le unghie. La reazione bianconera, manco a dirlo, è veemente; ma non tanto contro la difesa partenopea, quanto contro il signor (signor…) Paolo Valeri di Roma, coadiuvato, in veste di quarto ufficiale, dal signor (non te lo dico nemmeno) Gianluca Rocchi di Firenze. Dagli spalti e dal campo piovono urla ad ogni svenimento di un calciatore della Juventus, Diawara viene clamorosamente ammonito e non espulso per un fallo che non ha commesso, addirittura uno dei guardalinee concede al Napoli una rimessa laterale perché la palla l’ha toccata per ultimo un calciatore bianconero. “Pazzesco” staranno pensando in tribuna “esiste un regolamento in questo gioco”. Si va negli spogliatoi, e siamo in vantaggio. Guardo mio fratello, mio compagno da sempre e per sempre di ogni partita, e gli dico: “guarda che l’arbitro ci fa neri nel secondo tempo”. Manco a dirlo, 40-50 secondi, rigore. C’è, ci può stare, il ragazzo accentua ma è nel DNA (loro lo chiamano stile, contenti loro), il fallo c’è però. Il fatto che se tu pensi che tua moglie ti tradisce, e lo pensi una volta, e lo pensi due, e lo pensi tre, e poi vieni a sapere che una volta ti ha tradito, e poi non la cacci di casa ma la tieni, vedi che poi te lo ricorderai sempre, e lo ripenserai una volta e lo ripenserai due, e lo ripenserai tre. E vedi che ti starà tradendo di nuovo. Perché lo tiene nel DNA. Perché come dicevano gli antichi Greci (evidentemente la Juventus e le donne fedifraghe esistevano già allora), “a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”. Ad ogni modo, cambia poco. Pareggio. Passa poco, frittata difensiva, 2-1. Il maiale, chi altrimenti. Fa finta di non esultare manco stavolta e se la ridacchia sotto i baffi che non ha (come la dignità, del resto); poi domani dirà che si aspetta una buona accoglienza a Napoli. Ti stiamo aspettando, Gonzalo. Non lo sai da quanto. Vieni, non ti nascondere. “Sta cas’ aspett’ a te!” Il problema vero è che abbiamo una difesa colabrodo. E, nonostante tutto, non possiamo prendercela con nessuno se non con noi stessi. Il Napoli tende, stranamente, a reagire, finché non gli viene detto che il gioco del calcio è finito. Calcio d’angolo per noi. Fallo su Albiol che prova a passare in mezzo due. Proteste. Urliamo. Contropiede loro. Cuadrado salta Reina che prende il pallone e, siccome non è Houdini, non sparisce. Rigore. Io, sarò retorico ed esagerato, torno al 1998 per un attimo. Non posso credere sia successo a noi, in una partita senza alcun senso. Quella volta, che chiunque segua il calcio da un po’ di anni ricorderà bene, si scoprì poi che la Juve non l’avevo vinto proprio regolarmente lo scudetto, ma ormai il reato era andato in prescrizione. In pratica, tua moglie ti aveva già tradito ancora prima, però eravate fidanzati, quindi non conta. Mi succede una cosa che non mi è mai successa. Io ho visto il Napoli perdere dovunque. Ricordo nitidamente un Napoli- Bologna 1-5, un Foggia-Napoli 4-1, un Fermana-Napoli 2-0. E rosicavo. Ma tanto. Però questo è un altro fatto, è successo qualcosa di diverso. Per la prima volta nella mia vita, senza alcuna reazione, ho smesso di guardare. Ho iniziato a fare altro, qualunque cosa, in qualunque altra stanza della casa, pur di non vedere. E io sono uno di quelli che si arrabbia se sullo stadio o davanti alla tv vede qualcuno che sta con un cellulare in mano o che, semplicemente, fa altro. Ho smesso di guardare. E la cosa peggiore è che mio fratello ha fatto altrettanto, senza che nessuno dei due proferisse parola. Credo si chiami “istinto di sopravvivenza”. Perché noi credevamo in uno sport che conosciamo da quando eravamo bambini, che è diventato negli anni la nostra vita, e ora stiamo smettendo di farlo. Ed è veramente triste. Sono uscito, e ho incontrato diverse persone, chi più chi meno interessate al calcio. Ne ho incontrata una che condivide questa malattia con me da ormai molto tempo; ci siamo salutati soltanto guardandoci con gli occhi di chi non ha niente da dire, perché altrimenti avremmo parlato della scarsa vena di Koulibaly, o della poderosa prestazione di Rog. Niente. Uno sguardo che sapeva di vuoto totale. Di chi vorrebbe parlare di calcio, ma non può. Perché non ne ha visto. È quasi bello scoprire che non sono l’unico pazzo a pensare certe cose. Parlando con altra gente, per fortuna, nessuno parla più della partita. Poi mi chiedono, conoscendo la mia passione, che cosa è successo. Non l’hanno potuta vedere, hanno giusto qualcosa. Io do le mie impressioni, quelle più o meno scritte qui, senza troppa rabbia in corpo, ma con tanta delusione. Dico che vorrei trovare un modo per far sentire il mio dissenso. Decido che, l’unico modo, per “protestare”, in una parte infinitesima che sono certo non cambierà nulla ma mi farà sentire meglio con la mia coscienza, è disdire qualsiasi abbonamento alle pay-tv (il canone è in bolletta, purtroppo). Continuerò ad andare allo stadio, ma più per il contorno, per l’emozione di quel posto, perché è casa mia da sempre e perché non ho intenzione di togliermi la gioia di vedere la partita dal vivo con delle persone che per un giorno a settimana sono la mia famiglia. Ma soldi a chi alimenta questo sistema non ne darò più. Perché non posso assistere a questo scempio da anni e sentirmi anche dire che non è vero nulla, che sono un pazzo. La realtà è che se ai piani alti del giornalismo si decidesse di additare chi di dovere dicendo le cose come stanno, allora ad un certo punto qualcuno metterebbe la propria dignità davanti al proprio prestigio, e allora le cose andrebbero meglio. Ma finché la moglie tradisce il marito, e in paese fanno tutti gli omertosi (tranne qualche povero pazzo, evidentemente napoletano di origine), la Vecchia Signora non la smetterà mai. Sono andato a dormire, sperando di risvegliarmi la mattina di martedì 28 Febbraio 2017, di godermi la giornata in attesa della partita, di vedere il Napoli perdere 3-0 a Torino con tre gol di Higuain, di rosicare ed essere sfottuto. Perché i più forti alla fine vincono, ma se lo fanno in maniera da lasciarti qualche dubbio, forse così “più forti” non sono. Banalmente, è come se tua moglie ti ama e non ti tradisce, però quando esce da sola con le amiche la fede la lascia a casa sul comodino. Prima di prendere sonno, ho fatto un giro su Facebook. Tra i mille post sul calcio che ho visto, uno in particolare mi ha colpito. Sono andato a cercarne la veridicità, e ho trovato la parte da cui era estratto quel post; si trattava di un libro di Peace David, dal titolo“Il Maledetto United” scritto da Peace David. I truffatori non dovrebbero vincere mai. “Maledetti bastardi truffatori” – grido ai loro giornalisti – non parlo con dei bastardi truffatori!”. Ma ormai è tardi sei fuori dalla coppa. Odi la Juventus. Odi la Vecchia Fottuta Signora di Torino. La Puttana d’Europa. Ricorderai il suo fetore, il suo tanfo, lo ricorderò per il resto dei tuoi giorni. Il fetore della corruzione, il tanfo del marciume. La fine di ogni bene, l’inizio di ogni male. Non ti consola che la Juve venga poi battuta 1 a 0 dall’Ajax nella finale di Belgrado. Non ti consola che l’arbitro portoghese, Francisco Lobo, racconti all’Uefa del tentativo di corromperlo, dell’offerta di 5000 dollari e una Fiat che ha ricevuto per farli vincere la partita di ritorno. Non ti consola che cinque anni fa perdevate in casa contro l’Hull City davanti a 15.000 persone, sedicesimi in seconda divisione. Non ti consola un cazzo di niente. Non può esserci consolazione. La Juventus vi ha steso e derubato, la Vecchia Puttana vi ha sottratto con l’imbroglio al vostro destino, la Coppa dei campioni. Questi episodi saranno sempre con te, non ti lasceranno mai. Ancora ti perseguitano e ti braccano, e ti braccheranno per sempre. La fine di ogni bene, l’inizio di ogni male. Torino, Italia, aprile 1973” Sì, avete letto bene, millenovecentosettantatre. |