Disfida. Il Fado, il Tango, Pessoa e Borges…

Condividi su

di Claude De Bray

Prima che o solite strunze pensa alla Disfida di Barletta devo precisare che le disfide non si riferiscono essenzialmente in scontri d’armi; possono essere anche disfide matematiche o letterarie.

Il questo caso ho intrapreso una disfida con me stesso; ovvero capa vacanta vs pensieri sconclusionati.

I neuroni, per l’esattezza, gli unici due di cui sono fornito, ogni tanto si tozzano e ne scaturisce un bosone, il “bosone sconclusionato di ∑Ω-19” del quale mi attribuisco la scoperta e vorrei pure partecipare al Nobel!!!

Quando si “tozzano” gli unici due neuroni con la stessa causalità con la quale una farfalla possa posarsi sulla tua spalla… allora partorisco quei pensieri sconclusionati che, come al solito, non li capisce nessuno solo perché manco io da solo li capisco; l’unica cosa di cui sono consapevole è che in qualche modo mi appartengono, cioè, li sento e mi sono, per misteriosi ed arcani motivi, familiari.

Oggi, non ci crederete, ma ho pensato al “Fado” e al “Tango” e per non solo quale assonanza li abbia poi collegati a Pessoa e a Borges.

Quando si tozzano i miei due neuroni tutto è relegato a pensieri e ricordi e la mia testa vuota, per magia, si riempie, ma come sempre, in modo sconclusionato.

Mi ricordo il pesce fritto, il baccalà mangiato sull’oceano alle sei del mattino per colazione dopo una notte diciamo stravagante nell’estremo nord del Portogallo… lassù, non so dove…

Dunque dicevamo il Fado; dal latino Fatum, ovvero destino…

Eh, quello che tutti vorrebbero conoscere ma che poi nessuno lo ingarra nemmeno per sbaglio.

Il Fado, che è musica e canto, pure tiene insito una sorta di discriminazione per svariati motivi; esiste il fado altolocato e quello terra terra a seconda se si parla di fado di Coimbra o di Lisbona; naturalmente faccio il tifo per quello che ancora si canta nelle cantine perché già la parola “altolocata” la schifo di per sé.

Il fado è una chitarra che accompagna il canto, come dire dalle mie parti “’na voce, ‘na chitarra e ‘o poco ‘e luna”

Il fado, durante la dittatura che ha subito il Portogallo, è stato praticamente vietato in luoghi pubblici relegandolo solo ad essere suonato ed ascoltato in ambienti familiari o di piccole cerchie ristrette di amici.

Questo fado ha origini antiche, nato da una fusione di culture e dunque risente di corde arabe… e dovrei raccontarvi del canto mozarabico ma nun tengo nemmeno l’ombra del genio di stare a perdere tempo perché la mia capa vuole portarvi proprio da un’altra parte.

Inoltre, bisogna ribadirlo, il fado è musica e canto nato negli ambienti degradati e malfamati della città.

Una melodia e un canto, espressione di malinconia, privazione, mancanza della propria terra e dunque in qualche modo anarchica; il termine esatto che gli si addice è l’espressione “saudade” che dalle mie parti si dice “appocundria” racchiusa in una semplice strofa di un certo Pino Daniele…

“…appocundria me scoppia ogne minuto’mpietto…”.

Ma ciò che esprime il fado, chi se non Pessoa e Alvaro de Campos, portoghesi nell’anima, potevano meglio sintetizzare e tramutare da musica e canto in parole con “Poesie, laggiù non so dove”

“Partire!

Non tornerò mai, non tornerò mai perché mai si torna. Il luogo ove si torna è sempre un altro, la stazione a cui si torna è diversa. Non c’è più la stessa gente, né la stessa luce, né la stessa filosofia.”

Ora riconoscete, in quanto sopra malamente descritto, un’assonanza; ma nella mia capa ci sono ancora un sacco di altre cose…e si, perché poi ci sarebbe…

Il Tango, quello argentino, e non ci crederete ma ha affinità con il fado non per caratteristiche musicali ma per trascorsi storici.

Oggi il tango si balla in strada a Buenos Aires ma un tempo non era esattamente così; perché pure in Argentina hanno avuto la dittatura e la prima cosa che fecero, indovinate un po’, bandirono il tango!!!

L’Arghentina, come la pronuncia mia cugina Gabriela, ovvero ”mi primo”, a cui si aggiungono almeno altre quattro primo, che pure che sono femmine in spagnolo hanno solo il maschile.

Non ci crederete ma esiste un dialetto che gli argentini chiamano “kastelzhano” ed è un mix unico di spagnolo e italiano e si avvicina, nella pronuncia, al dialetto napoletano.

Ora, il fado mi piace, Pessoa pure, il baccalà fritto pure ma con l’Argentina sono legato a filo triplo, con quel filo rosso tanto caro ai giapponesi secondo cui legato al mignolo sinistro lo lega alla propria anima gemella.

In primis “mi tío” si trasferì in Argentina che manco ero nato ed è sempre venuto in Italia ed è sempre stata una festa, inoltre ancora oggi con le mie “primos” e rispettivi mariti, figlie e figli, ci sentiamo abbastanza spesso…quella che sento di più è il “mi amor… que quiero mucho” Gabrielita… na cessa senza prezzo che tiene il pepe!!!

Poi ci sta il fatto di D10S, e poi ci sta il tango e un certo Borges.

Insomma tengo da spartere, ovvero affinità, più con l’Argentina che con il Portogallo.

Dicevamo il Tango, che per me significa Astor Piazzolla, di origini italiane; l’Argentina, nel dopoguerra fu la meta di tanti nostri connazionali e non è che fu tutto rose e fiori però a molti italiani è attribuita la nascita del tango.

Il tango è, ovviamente, un ballo popolare a cui viene indiscutibilmente attribuita la sensualità, l’estrosità dei passi, la genialità delle figure e… il tocco.

Eh, è qui che risiede la vera essenza del tango, e non dovete trascurare questo apparente dettaglio.

I ballerini hanno uno spazio inviolabile, ognuno può o meno concedere parte di questo spazio ma quello che veramente si tocca è l’anima.

Il tango trasporta i corpi e li tramuta in sensi e dunque noi ne ammiriamo la bellezza; i ballerini no, per loro “è un pensiero triste che si balla”, così lo definì Enrique Santos Discépolo Deluchi quando il tango non era quello che vediamo oggi. Nel tango c’è ancora quel velo di malinconia, espressione di privazione, mancanza della propria terra….

Ci siete, ora siete riusciti a collegare il Fado con il Tango; siete entrati nella mia capa vuoto a perdere come la bottiglia della birra?

Ah, pure il tango fu schifato da tutte le corti di mezza Europa perché definito lascivo; intanto nelle corti le Madame Pompidour, le cortigiane, le amanti dei sovrani ne facevano di Pompidù.

Oggi passeggiando tra le strade di Buenos Aires vi può succedere che in una piazzetta trovate quattro cinque coppie che ballano, ballano il tango, quel tango per non dimenticare, per quello spirito di anarchia nato dai tanti anni in cui fu censurato e bandito dall’Europa chic; ballano senza età, come se il tempo non avesse alcuna importanza… intanto si toccano…con l’anima!!!

A questo punto irrompe un certo Borges che, con una semplice frase, condensa in un ermetismo l’essenza del tango…“L’arte vuol sempre irrealtà visibili.”
Metamorfosi della tartaruga
E chest’è

Nato a Napoli non ho frequentato scuole degne di tale nome. Al compimento dei diciott’anni dopo il conseguimento del diploma sono subito stato assorbito dal lavoro soprattutto per motivi di sostentamento precludendomi la cosiddetta “Laura”. In compenso ho la laurea della strada, un master in sopravvivenza e vivo tutt’ora di espedienti. Amo leggere più che scrivere ed avendo raggiunto un’età che mi concede il lusso di dire ciò che penso non percorro strade che conducono al perbenismo bensì all’irriverenza. Non amo molto questo tempo e la conseguente umanità per cui sono definito un misantropo; ciò non toglie che la solitudine non precluda l’essere socievole e come tutti i solitari le persone le scelgo; il resto le guardo da lontano, senza avvicinarmi troppo. Se è vero che ogni mattina ognuno di noi fa una guerra per combattere il razzista, il moralista, il saccente che vive in noi, non ho alcun interesse nello scoprire che qualcuno questa guerra l’abbia persa e dunque la evito. Il resto sono cazzi miei e non ho intenzione di dirvi altro altrimenti, come Sanguineti, dovrei lasciarvi cinque parole che vi assicuro non vi piacerebbero.