di Christian Sanna
Gerulaitis la pronunciò nella conferenza stampa post – match, dopo aver finalmente battuto Jimmy Connors dopo ben sedici sconfitte di fila. Una partita niente affatto leggendaria – equilibrata solo nel primo set – che Vitas si aggiudicò con scioltezza raggiungendo Borg in finale, ma entrata nella leggenda per questa dichiarazione che rivelò ancora una volta l’unicità di un personaggio letterario prestato al giuoco del tennis. Tuttavia, come in ogni leggenda, è presente una componente di mistero: le partite consecutive perse contro Connors furono undici e non sedici. Possibile che nel momento della dichiarazione, Vitas stesse pensando alla finale con Borg, suo autentico incubo sportivo, contro cui aveva registrato sedici sconfitte. Vytautas Kevin Gerulaitis, figlio d’arte tennista statunitense di origini lituane, del suo nome disse Tutti pensano che il mio nome sia Vitas Laitis. Che cosa puoi fare quando hai un nome che sembra una malattia?
Fisico esile, lunga e folta capigliatura riccioluta bionda, cuore d’oro. “Il leone lituano” fu genio della racchetta, giocatore spettacolare: , veloce, agile e mobile in campo, probabilmente un pò leggerino, ma irresistibile nel serve & volley, dotato di un ottimo rovescio. Un artista che vinse meno di quanto avrebbe meritato, adatto a tutte le superfici di gioco. Uno dei gesti iconici era l’ossessione di cambiare, ad ogni cambio di campo, il grip della sua racchetta; un rituale che sembrava isolarlo, per pochi attimi, dalla pressione della partita. Costantemente nella top ten negli anni settanta ( terzo nel 1978) e all’inizio degli anni ottanta, ebbe la “sfortuna” di incontrare sulla sua strada i grandi campioni della sua epoca: Jimmy Connors, John McEnroe e Björn Borg.
Riuscì a vincere ventisette tornei disputando cinquantacinque finali e regalò agli spettatori giocate memorabili. Stimato e ben voluto dagli avversari (fu amico di molti, fra gli altri di John McEnroe) si distingueva per simpatia, cavalleria e sportività. Semifinale di Wimbledon del 1977 la più bella sconfitta di sempre: Vitas venne battuto da Borg dopo cinque set di un match appassionante come un romanzo, ricco di colpi di classe.
Il giorno dopo la sconfitta, il leone lituano, invece di prendere un aereo per tornarsene a casa, raggiunse il tennista svedese sul campo dove si stava allenando ed umilmente col suo sorriso gentile si offrì come compagno d’allenamento. Un gesto che soprese favorevolmente Borg, poichè rarissimo in uno sport dove la competizione è ai massimi livelli. Ma Gerualitis era un tennista rock, un uomo speciale. Fu anche campione di solidarietà; aiutava chi ne aveva bisogno, faceva beneficenza, donava racchette ed attrezzature sportive a chi desiderava giocare a tennis, ma non ne aveva le possibilità.
Carattere estroverso e brillante, chioma da cherubino, sguardo apparentemente allegro con venature di malinconia, divenne un simbolo dello stile di vita nella Grande Mela. Vitas era estroso, un giocoliere della racchetta che scaldava il pubblico con giocate imprevedibili e di rara bellezza, poi la notte si scaldava sulle piste da ballo. Erano gli anni de La febbre del sabato sera, delle notti in cui sfrecciava, accompagnandosi a donne bellissime, per le strade a bordo di bolidi di cui era appassionato collezionista: Rolls Royce, Cadillac, Porsche, Ferrari, Mercedes, per citarne alcune. Assiduo frequentatore del mitico locale Studio 54, fu amico di Andy Warhol che lo immortalò in una celebre foto, di Liza Minelli, Truman Capote e altri celebri personaggi dell’epoca. Ricco, famoso, sempre ben vestito e divertente fu un uomo di successo che però faceva fatica a legarsi sentimentalmente.
Sempre circondato da donne stupende fu per anni lo scapolo d’oro del tennis. Ebbe diverse relazioni fra cui una importante con l’attrice e modella Janet Jones. In una doppia intervista del 1986 ad una rivista, mentre la Jones (sua fidanzata all’epoca) argomentava sul valore della famiglia rispetto ai successi di carriera e sul desiderio di avere in futuro dei figli, Vitas replicò con una battuta che si rivelerà, purtroppo, beffarda Io a quarant’anni vorrei avere sei mogli. Nella dolce vita del tennista statunitense ci fu anche l’incubo della cocaina che riuscì con volontà ed impegno a sconfiggere, ma che di certo minò la competitività dell’istrionico atleta che ebbe i suoi momenti migliori alla fine degli anni settanta, vincendo diversi tornei ed affermandosi come uno dei migliori tennisti del mondo.
Si ritirò nel 1986 ed inizio la carriera di commentatore televisivo; per una stagione fu anche allenatore di un giovane Pete Sampras, talento destinato a diventare campione affermato. A sorpresa rientrò nel 1989, giocando in coppia con il suo amico Connors, agli Internazionali di Francia del Roland Garros; Sconfitti al primo turno in tre set, non rinunciarono a scherzare, presentandosi in campo con le stampelle. Nel tempo liberò si dedicò ad un’altra sua vecchia passione: la musica. Con alcuni amici formò una rock band dando vita a delle esibizioni musicali in cui si divertiva a suonare la chitarra.
Gentile, generoso, eccentrico e talentuoso, Vitas Gerulaitis col suo sorriso e la sua allegria, probabilmente ai più attenti, non riuscì a nascondere una certa malinconia, la nostalgia che si portava dentro come un presagio di un destino beffardo che non si fece attendere.
Il 17 settembre del 1994, ospite a casa di un amico, morì nel sonno a causa di una caldaia difettosa.
Aveva quarant’anni.