E diciamola, ‘sta cosa sul Leicester.
Perché pare che la parola d’ordine sia “ma che ce ne stracula”, pensiamo solo al Napoli, come se pensare solo al Napoli – “nella mente sempre lei, come un’ossessione lei, che mi accende i sensi e la fantasia” – precluda di necessità qualsiasi interesse verso “la favola bella, che ieri t’illuse, che oggi t’illude “(e delude me, che a Napoli e per il Napoli ci avevo creduto). Io me ne andrò a Torino domenica, ma sono mesi che mi studio i Foxes con il cervello e li sto amando col col cuore.
Io, sinceramente, che sono un meraviglioso vanesio, un impareggiabile intellettuale eccetera, ma che non potrei vivere senza esibire urbi et orbi la mia anima tamarra, truzza, coatta, volgare, ruttante, ho coccolato per un anno intero questa avventura nazionalpopolare, fatta di calcio all’antica, romantico, happy end-oriented, di gente che dalla Championship del 2013 è arrivata alla vittoria del lavoro e della follia con Wardy, Drinwwater, Mahrez, Kante e soprattutto Claudione Ranieri, The Normal One, quello della saggezza quotidiana, il Tinkerman, quello delle conferenze stampa nello slang der Tufello. Quello che io non dimentico perché mi ha fatto vivere, cinque lustri fa, il più bel calcio giocato dal Napoli fino all’era Sarri.
Solo che, incredibile a dirsi, c’è sempre qualcuno che prima vede dove butta il vento, e poi esibisce al mondo la sua penosa vanagloria di radicahchic da nicchia, benaltrista e tuttaltrista. Perché pare, così leggo in un pezzo, che chi ama il calcio ama il Tottenham. E come mai mo’?
Pare che il Leicester, sapete, da qualche parte nel culo di Albione, giochi un calcio elementare fatto di due passaggi e lancio ad attaccare la profondità (linguaggio mio: l’estensore dell’articolo non pratica linguaggio tecnico, per lui il pallone potrebbe essere quadrato, non fa differenza). E scusate tanto: tengo Vardy, lo sfrutto, permettete? Un allenatore che stia con i piedi per terra fa così, mica racconta Esopo e il Sandalo come il Grande Comunicatore Benitez tanto per ciurlare nel manico.
Il NYT parla del campionato del Leicester, del “Leistà”, come della più grande impresa sportiva di tutti i tempi.
Ma avete fatto i conti senza il sapientone radical.
Se andiamo nel posto giusto, apprendiamo che il Tottenham gioca un calcio postmoderno. Sì, postmoderno. Ora uno si va a leggere il pezzo perché pensa: Cazzo, e io mo’ voglio sapere che minchia è il calcio postmoderno. Ma non trova nulla, perché il tizio non lo sa mica che si è inventato. Per intorbidare le acque cita a casaccio (quella, sì, è specialità della casa) due libri semisconosciuti al volgo e inutili al contesto. Ma che cosa sia sto calcio postmoderno levatevelo dalla testa, non lo saprete mai. Un calcio citazionista? decostruzionista? neoermeneutico? Boh. Farsi una pelle no?
Il tipo che spara a terremoto queste pillole metafisiche è lo stesso che dopo Udine paragonava con ignobile spocchia Higuain a un wrestler e a Fantozzi, però poi ieri mattina sul Mattino cercava, con misera goffaggine degna di miglior causa, di riabilitarlo.
A noi ci piacciono le storie belle. Non siamo trendy, non siamo à la page, non vogliamo épater le bourgeois. Siamo pane e puparuoli, da domani vado a giocare a calciotto con la maglietta di Mahrez e forse vado pure a farmi la “Macchinata ignorante” di “Calciatori brutti”, ‘afammocc.
Foxes never quit. E rosicate, paraintellettuali di questo siffrediano piffero.