La possibilità che gli Italiani votino per il NO e, quindi, contro Renzi il prossimo 4 dicembre, non è solo retorica: infatti, i sondaggi dimostrano che esiste una fetta amplissima di pubblica opinione che intende votare in direzione opposta rispetto alle indicazioni del Premier.
Il fatto che il referendum si sia connotato di un valore politico, ben oltre il mero dato del quesito referendario, è ormai cosa acquisita.
Infatti, il Presidente del Consiglio ha commesso l’errore di aver personalizzato la diatriba referendaria, per cui chi vota Sì lo fa, spesso, per mera ed astratta adesione alle posizioni del Governo, così come chi vota NO, sovente ignora finanche l’oggetto della contesa.
In tale contesto, comunque andrà la competizione, Renzi ne sarà il protagonista essenziale: se vincerà, potrà governare serenamente fino alla primavera del 2018, mentre, se perderà, sarà costretto ad andare a casa, con effetti importanti per la politica nazionale e per le istituzioni italiane.
Il Ministro Formica, grande ed autorevole personalità della Prima Repubblica, ha addirittura paragonato il referendum del prossimo 4 dicembre a quello monarchia/repubblica del 1946, che decise la forma di Stato, tuttora esistente.
Non crediamo che il valore sia analogo, ma certo dalle scelte degli Italiani deriveranno moltissimi comportamenti concreti delle forze partitiche, a partire dal 5 dicembre.
È evidente che, in caso di sconfitta, il PD in particolare imploderà, per cui la resa dei conti sarà il tratto essenziale di un partito, che, per circa tre anni, è stato narcotizzato dal renzismo dominante, che a tutt’oggi è prevalente all’interno dello schieramento di Centro-Sinistra.
È ovvio che la sconfitta eventuale di Renzi determinerebbe l’accelerazione della dinamica congressuale, per cui, in un sol colpo, perderebbe sia la Segreteria Nazionale del Partito Democratico, che la Presidenza del Consiglio, a dimostrazione del fatto che aver legato la leadership del partito al Premierato, inevitabilmente, indebolisce chi è già in posizione di imbarazzo e difficoltà.
Peraltro, a dover accelerare la riorganizzazione della politica italiana dovrà dare il suo contributo, anche, la Destra, che non potrà continuare ad essere divisa in diversi atolli, nessuno dei quali è in grado, da solo, di sconfiggere il proprio avversario storico.
Inoltre, l’unico partito, che potrebbe effettivamente gridare al successo, è il M5S, che prima di altri – ed, invero, senza “se” e senza “ma” – è stato il principale nemico della riforma renziana.
Ma, al di là della geografia partitica, a cambiare sarà soprattutto, in caso di sconfitta renziana, un certo atteggiamento, che la politica italiana ha avuto nei riguardi della pubblica opinione del nostro Paese.
È ineluttabile che il narcisismo renziano, all’inizio il vero motore del consenso verso il Sindaco di Firenze, sia divenuto, a partire da almeno un anno, uno dei principali freni nel rapporto fra gli Italiani ed il Presidente del Consiglio.
È ben noto che la telegenia sia una delle principali competenze del Premier, che non a caso sciorina molti passaggi televisivi per promuovere il referendum, perché crede che il suo intervento diretto possa muovere consensi importanti verso le tesi care al Governo.
Invero, crediamo che la luna di miele fra il Premier e gli Italiani sia, davvero, finita ormai da lungo tempo, per cui il referendum sancirà, molto probabilmente, la fine di una corrispondenza di “amorosi sensi” fra un leader, che non governa più neanche il proprio partito, ed una pubblica opinione, colpita dalla crisi e da una povertà dilagante.
Doveva, proprio così, terminare la parabola di potere di Renzi e del renzismo?