“E’ stata Roma”

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 di Mario Piccirillo

@Marioplanino

E’ stata Roma“. Ancor prima di andare al cinema a vedere Suburra, ve lo sbattono in faccia fin dal  trailer che è stata Roma, che si parla di Roma usandola a riduzione ambientale dell’Italia e dei suoi giochi di potere fra i poteri. Il vizio Capitale è un marchio ostentato in promozione del film, planando facilmente sulla progressione degli scandali di Mafia Capitale e sulle dimissioni del sindaco Marino. La realtà che spoilera il plot, figurati, nell’ufficio stampa di Cattleya sono settimane che si danno il cinque altissimo, e Favino, Germano, Amendola, in tour fra radio e tv, non fanno altro che andare a ripetizione. Non se ne esce: Suburra, Roma… sono un solo concetto, voluto, spinto, abusato. L’ambientazione del romanzo di Bonini e De Cataldo è quella, che volete farci. E poi, aprite un giornale qualunque, e provate a raccontarvi che è solo fiction. Bum!

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Suburra, il film

Il film esce in 500 copie, in questi giorni. Contemporaneamente entra nel catalogo Netflix, cioè a disposizione di una robetta come 50 milioni di spettatori potenziali sparpagliati tra Usa, America Latina e Canada. Poi, non bastasse, Netflix per il 2017 ne farà una serie tv, proprio come era successo con Romanzo Criminale. Il regista, Stefano Sollima, è lo stesso. Lo stesso, anche, di Gomorra. Ecco… Gomorra.

Prendi Gomorra. Non te lo dicono subito “è stata Napoli”. Ma che nel libro di Saviano si parli forzosamente di Napoli, che la protagonista del film di Matteo Garrone sia quella Napoli, che la serie tv venduta con l’acca finale in 50 Paesi metta in scena la Napoli del Male è cosa intrinseca nell’esistenza stessa dell’opera.

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I protagonisti di Gomorra- La serie

Solo che Napoli è Napoli, non è Roma. E Saviano è Saviano, con tutto il suo carico di identificazione polemica. E allora non si dica che “è stata Napoli”, non sia mai. “Io non sono stato”, e nemmeno tu, caro lettore del Domenicale. Non sono stati tutti quelli che conosci, quelli che ci vivono attorno. E’ stato qualcun altro, su questo siamo sempre d’accordo. Ma non Napoli. Ed evidentemente nemmeno Giugliano, il cui sindaco Antonio Poziello ha negato la location per le riprese della seconda stagione perché “ci sono anche tante persone perbene che meritano rispetto“. Non Afragola, protetta nella sua onorabilità dal sindaco Domenico Tuccillo. Non Acerra, una realtà che, secondo il suo Primo Cittadino Raffaele Lettieri, “viene già percepita in maniera fortemente negativa e queste fiction non aiutano“. Anzi c’è tutto un fermento, qua da noi, attorno alla pelosa convinzione che “queste fiction” siano proprio dannose. Perché – lo ha detto il questore di Napoli Guido Marino –  “certi programmi tv sono offensivi e per niente rappresentativi della realtà che vogliono rappresentare“.

Sarà magari per questo che le scene in Parlamento di Suburra sono state girate in teatro. Perché il permesso di girare nelle sacre aule della democrazia non gliel’hanno dato, temendo che Sollima producesse una finzione “non rappresentativa della realtà che voleva rappresentare”. Ché lo sai come sono gli artisti, capacissimi di inventarsi chessò… un senatore che si indica il pacco al cospetto di una gentile collega.

Tutto il dibattito verte, incredibilmente, sull’immagine derivata. Che figura ci fa la città, così rappresentata. Che sia Napoli o Roma. O la Palermo de La Piovra. Qua non siamo mica ad Albuquerque, dove la popolazione locale è stranamente convinta di non dover ribadire al mondo che lì non tutti i professori di chimica spacciano metanfetamine, come in Breaking Bad.

Qua galleggiamo sull’irrimediabile controsenso del voler imporre col bilancino la giusta misura di realtà alla sua rappresentazione, come nemmeno i documentari riescono a fare. Con questa idea democristiana di arte che non deve offendere nessuno, che anzi deve sforzarsi di distribuire col Cencelli il bene e il male in un’ora di televisione. Nel rispetto della tv dei padri costituenti, pedagogica nella facciata per garantire il funzionamento del meccanismo dei target pubblicitari, mentre nel sottoscala il buongusto viene stuprato in ogni maniera possibile. E’ una discussione che – questa sì – “non è rappresentativa della realtà che vuol rappresentare”. Non ha senso, proprio. Ma se è questo il livello del gioco, allora val la pena di sottolineare che sì, “è stata Roma”. Perché se scrivi Suburra, e hai voglia di trasporlo al cinema e in tv con uno standard appena più alto di Don Matteo, diventa fisiologico usare Roma e la sua forza simbolica. Non solo per rispetto della cronaca, o della geografia dei poteri, ma proprio perché l’arte ha licenza di sfregiarne la grande bellezza a proprio uso e consumo, fottendosene di tutto il resto. E se scrivi Gomorra, cioè un’opera di non-fiction, non ti preoccupi dell’eventuale – e discutibile – danno d’immagine che arrechi a Napoli. Non giri una serie tv che di colpo ci regala un posto al tavolo di Netflix, HBO, e AMC, sperando di non indispettire un sindaco che – ancora! Nel 2015! – pensa di raccogliere qualche voto urlando che “Gomorra non è Napoli”.

Alimentando – valga a ulteriore detrimento della già penosa diatriba – il vittimismo da competizione di quelli che leggono ogni trafiletto di cronaca nazionale col sottotesto “se succedeva a Napoli…”, non riuscendo così a godersi nemmeno il mezzo gaudio del mal comune.

Se in bocca a Ciro l’ “immortale” avessero messo un plateale “nun so’ stat’ io, è stata Napoli”, De Magistris avrebbe interrotto d’urgenza una delle milletrecento riunioni con De Laurentiis per (non) ristrutturare il San Paolo, e sarebbe corso a urlare al complotto a reti unificate. Marino non se ne è nemmeno accorto, poveretto. Ma che è stata Roma, lo sa pure lui.

 

 

 

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