Non mi piacciono le giornate mondiali, le commemorazioni, le campagne varie pro o contro qualcosa che tanto son di moda sul web. Non ho mai fatto la foto mangiando la banana contro il razzismo. Non metto fiocchi o scarpette rosse contro la violenza sulle donne. Detesto l’omologazione e il pensiero unico dilagante sui social.
Ma il “Je suis Charlie Hebdo”, l’ho messo.
Sapevo a malapena dell’esistenza del giornale, prima della tragedia. Ma la notizia mi ha colpito come un pugno in faccia. E le immagini del poliziotto ucciso, che mi sono rifiutata di continuare a vedere, non hanno aggiunto nulla al senso di smarrimento totale che ho provato.
E non mi sono sentita male per la mia passione per la satira. O perché ami particolarmente i vignettista o i francesi.
Non mi ha sconvolto perché 12 occidentali uccisi valgano più di migliaia di immigrati africani o bambini palestinesi o donne fatte fuori dai mariti. Non mi si è chiuso lo stomaco perché detesti l’islam, i musulmani, i siriani o gli algerini. O perché sia dalla parte di Israele.
Non mi interessa nemmeno che tipo di satira facessero lì. Ho visto qualche vignetta, alcune molto divertenti, altre le ho trovare inutili. Probabilmente il giornale non lo avrei comprato fossi stata francese.
E non volevo, fino a questa mattina, nemmeno spiegare il perché io mi senta Charlie Hebdo.
Ma il magone non se ne va e quel che leggo e sento non fa che aumentare il mio smarrimento e la mia rabbia.
I populisti fascistoidi italiani che, se il giornale li avesse conosciuti, li avrebbe ricoperti del ridicolo che meritano, cavalcano l’onda dell’indignazione per prendere consensi.
Bigotti che mal sopportano la satira diventare fans sfegatati delle vignette.
Complottisti dell’ultima ora vedere ufo, servizi deviati, Obama in persona vestito da killer.
Vaneggiamenti sulla pena di morte.
Gente che dice “allora le crociate?”.
Oppure “e tutti gli altri morti?”.
Tutti i morti, le guerre, gli attentati, le violenze, gli stupri di gruppo, i bambini abusati, quelli che muoiono di fame, tutti, sono pesi che sento sulla coscienza, sempre. E tutti sono uguali davanti al mio dolore, alla mia rabbia e alla mia inutilità.
Ma che qualcuno, chiunque, dai terroristi ai complottisti, abbia pensato di eliminare un’intera redazione, un intero giornale, di mettere a tacere per sempre un’idea, un pensiero, una libertà, mi ha stroncato. Mi ha fatto pensare che se smettiamo di scrivere, di disegnare, di cantare, di parlare, di pensare per paura di morire, beh, allora siamo già morti e tanto vale farci seppellire dal terrore.
Ho pensato che davvero abbiamo perso tutto e tutti.
Ecco perché non mi vergogno di dire e scrivere JE SUIS CHARLIE HEBDO.