di Enrico Ariemma
Sono un perdente.
Perché porto con me la colpa e la vergogna di sentirmi come uno che ha vinto. CHE HA VINTO. Certo, adesso arriveranno a spiegarmi che tre giri intorno al tavolo, una corsettina tra il soggiorno e il cesso sono ben altra cosa, ne hanno vinti 44 sul campo, e poi ce l’hanno pure più lungo, da Cerignola a Sciacca, da Salerno a Cefalù.
Però Higuain lo guardate dal buco della serratura, come le persone tristi. E se le persone tristi hanno un’utilità è quella di ricordarti come tu non devi essere mai.
Poteva farne 40, senza essere fermato da due o tre guitti da baraccone, ricettatori di aiutini, mariuoli di mele polli e castagne. ne pianse, e nel pianto rivelò le radici a cui la sua anima bella e grande si abbarbica.
Ma meglio così, non sarebbe stato lo stesso fiottare di adrenalina: esiste, come sempre a Napoli, un Dio della sceneggiatura, per i sentimenti insieme provati e recitati.
Esiste questo segno meraviglioso, una metafora della speranza, una boccata d’ossigeno per chi, come me, era lì a incontrare la Storia, perché siamo noi la storia, siamo questo piatto di grano, l’ho incontrata al Tempio, con la mia gente, la mia identità, la mia cultura, le mie radici, i miei amici, i miei amori. una allegoria della vita, come a mostrare che le cose belle davvero capitano, davvero si verificano, basta saper cogliere l’opportunità, acciuffando la ciocca, anche quando, come diceva quel tale, l’orizzonte è piatto e deserto. E invece la sorpresa ti travolge l’esistenza.
Altro che perdente.
Questo mi ha insegnato ieri Prometeo®, “e già sul fido piè la rovesciata” … La rovesciata, roba da esteti, da funamboli, ma anche atto di volontà superiore. L’impatto a mezz’aria, il corpo in orgasmo da coordinazione, sospeso nell’aere. Per una cosa così è quasi peccato esultare, ché andrebbe contemplata in francescano silenzio, in estatica ammirazione.