di Rosario Pesce
La Festa del Lavoro, quest’anno, non può non risentire della situazione economica, che è estremamente complessa, visti gli effetti perduranti della pandemia.
Ancora di più rischia di condizionare in senso negativo la guerra in Ucraina, dato che l’aumento dell’inflazione, cagionato dal conflitto, non potrà che diminuire le opportunità di sviluppo e, quindi, le occasioni di lavoro.
Ma quale forma di lavoro rischia di divenire dominante?
Forse, un lavoro precario e privo delle opportune tutele, cui ci aveva abituato la cultura gius-lavoristica del Novecento?
Certo è che, nel corso degli ultimi due decenni, il mercato del lavoro ha subito trasformazioni, che saranno determinanti per molti anni ancora e che rappresentano un punto di non ritorno rispetto alla nostra tradizione culturale.
La pandemia, in particolare, ineluttabilmente ha determinato un ampliamento della fascia di povertà, che solo la cultura del lavoro può fronteggiare adeguatamente, visto che gli strumenti di assistenzialismo, concepiti dalla legislazione vigente, rischiano di essere un mero palliativo rispetto alle sfavorevoli condizioni complessive del quadro economico-sociale, che possono divenire finanche strutturali.
Ed, allora, diviene essenziale difendere e tutelare il lavoro attraverso l’opportuna promozione dello sviluppo produttivo e tecnologico.
Ne saremo in grado, in un clima di concordia interna e di pace a livello internazionale, teso alla difesa dei diritti dell’uomo e della donna?