Sono stati recentemente pubblicati i dati dell’inchiesta condotta da Report e Openpolis sul federalismo fiscale e dalla quale è emerso un quadro sconfortante soprattutto delle città del meridione. In particolare, nel corso della indagine sono stati accorpati i Comuni italiani in quattro fasce in base alla popolazione e – come immaginabile – le prime sette posizioni di comuni che perdono più risorse dal federalismo fiscale sono risultate tutte nelle salde mani campane, calabresi e pugliesi.
L’inchiesta è infatti riuscita a ricostruire quanti soldi hanno ricevuto in meno le amministrazioni comunali dopo la promulgazione della legge voluta da Roberto Calderoli. A guidare la classifica sono i comuni di Giugliano in Campania e Afragola, seguiti dalla città metropolitana di Reggio Calabria che fa da apripista a vari comuni calabresi e a quello pugliese di Taranto.
Nella puntata di Report andata in onda nella serata di lunedì 4 novembre è stato ricostruito il corretto fabbisogno finanziario correlato ai servizi municipio per municipio, da cui è emerso che il meccanismo utilizzato attualmente assegna un peso rilevante alla spesa storicizzata; quindi se in Emilia Romagna i comuni pagano le vacanze estive agli studenti delle famiglie meno abbienti, quello diventa un diritto essenziale in quel territorio, mentre se in Calabria o in Campania c’è la mensa scolastica che funziona a stenti lì ci si deve accontentare.
Solo per fare qualche esempio concreto, la differenza di spesa destinata a servizi fondamentali può essere riassunta nei seguenti dati: se in Emilia si spendono circa 20 milioni annui per le case popolari, a Reggio Calabria o in altri comuni del meridione si arriva a circa 2 milioni di euro. Stesso discorso vale per la cultura: Reggio Emilia ogni anno mette a bilancio più di 20 milioni di euro, a Reggio Calabria invece “non si può andare oltre quanto previsto nel piano di riequilibrio”, commenta amareggiato il sindaco reggino.
Ma l’elenco delle differenze tra la spesa sostenuta in servizi tra i comuni del Nord e quelli del Sud è decisamente lungo. E riguarda tutti i servizi: dalla assistenza agli anziani alla gestione degli asili nido. Il trasferimento dei fondi in base alla spesa storica è dunque spiegabile nell’assioma secondo cui se non si aveva bisogno di un asilo nido (dato che non si spendevano soldi), allora si continua a non fornire gli strumenti per farlo. In questo modo, adottando un criterio di tal genere – e non quello dei Lep (previsto dalla legge) – si impedisce di fornire servizi essenziali ai cittadini e a rimetterci sono soprattutto le categorie più deboli. Urge un impellente cambio di rotta.