di Gianluca Spera
Dal 25 ottobre in avanti, Walter Ricciardi, consulente del ministro Speranza, nonché protagonista in gioventù di alcune indimenticabili pellicole al fianco di Mario Merola come L’ultimo guappo o Il mammasantissima, ha chiesto almeno una ventina di volte il lockdown. L’altro giorno, in una domenica di freddo e gelo, ha infiammato l’etere imperversando da mattina a sera con la richiesta di un lockdown duro e rigoroso e gettando, naturalmente, nel panico la popolazione già provata da un anno di epidemia e restrizioni.
Dall’accondiscendente Fazio, poi, ha raggiunto l’apice della sua gloria raccontando anche un succoso aneddoto. Ha detto di essersi recato al ristorante ma di aver chiesto una saletta appartata per difendersi dal rischio contagio, evidenziando un vizio tipicamente italiano: quello del potente di turno che esibisce il privilegio in stile Marchese del Grillo. Un po’ lei non sa chi sono io declinato ai tempi del covid, in cui la massa informe soffre in fila perché bisogna rispettare il distanziamento, attenersi ai rigidi orari di chiusura, e, invece, a Ricciardi riservano il privé.
Eppure di questi tempi, lo scorso anno, l’ex attore, ora medico e docente dell’Università Cattolica, minimizzava i rischi del virus: “Si rivelerà poco meno di un’influenza”. Per poi aggiungere ad aprile che le mascherine non servono alle persone sane. Salvo passare da un eccesso all’altro, e consigliare l’uso delle protezioni sempre, dovunque e comunque, anche da soli e all’aperto. Ma, da questo punto di vista, è in ottima compagnia: non è stato il solo a prendere un granchio e a far finta di niente dopo poche settimane. Da riduzionista a catastrofista è un attimo, il tempo di un’ospitata televisiva in cui ascolti e paura sono direttamente proporzionali.
Così, percependo la popolarità della linea melodrammatica, ha trovato facile sponda nel suo ministro di riferimento, il più rigorista tra i rigoristi, il più sobrio tra i sobri, Roberto Speranza che lo ascolta, resta in silenzio, annuisce e poi esegue. Peccato, dice Ricciardi, che l’idea del lockdown non abbia attecchito tra gli altri ministri del precedente governo. E così, persa la possibilità di occupare la poltrona di ministro nella rinnovata compagine guidata da Draghi, è tornato alla carica scatenando un prevedibile putiferio. Non si è attirato solo gli strali salviniani ma anche di quelli che dovrebbero essergli politicamente più vicini, come Bonaccini che ha chiesto una immediata moratoria delle esternazioni dei virologi.
Insomma, la serenata era dedicata specialmente all’onnipresente e pirandelliano Ricciardi. Addirittura, il CTS ha preso le distanze dal consigliere di Speranza: la sua posizione non è la nostra. Così, triste e solitario ma non rassegnato, Ricciardi si è rifugiato in un altro comportamento tipicamente da commedia all’italiana: quello dell’attaccabrighe che poi diventa permaloso quando non viene assecondato. “Se i miei consigli sono utili resto, altrimenti posso anche lasciare”. E pure qui, si palesa l’ennesimo tic da sceneggiata: minacciare le dimissioni senza avere alcuna intenzione di lasciare la poltrona.
Come quando, in qualche celebre scena, Mario Merola, abile dissimulatore, urlava “lasseteme, lasseteme” ma, in effetti, cercava l’abbraccio, il contatto stretto, l’affetto delle persone più care. Cosa che è mancata in questa circostanza perché nessuno ha manifestato solidarietà a Ricciardi, se non i soliti Galli, Crisanti che chiederanno il lockdown pure quando sarà finita l’emergenza. Soprattutto non è arrivata la sponda che cercava da Draghi o da qualche altro ministro. Perfino, Speranza è rimasto prudentemente in silenzio. Per ora, la proposta di segregare in casa gli italiani è caduta nel vuoto. L’unica cosa certa è che, nel bene o nel male, presto sentiremo parlare ancora di Ricciardi. D’altronde, tra molte incertezze e tante varianti impazzite, la sua capacità di restare al centro dell’attenzione è l’unica costante di quest’epoca covidiana. Su il sipario!