di Alessandro D’Orazio
La convinzione spesse volte generalizzata che internet sia una sorta di zona franca rimane difficile da abbattere. Il web viene, infatti, inteso sempre più come un luogo o rifugio sicuro dove poter sfogare le proprie frustrazioni o fallimenti restando comunque impuniti. Una sorta di retrobottega in cui albergano istinti poco edificanti e pensieri del tutto inappropriati.
Questo atteggiamento, dovuto essenzialmente ad una facilità istintiva di dare sfogo alle proprie banali credenze, rimane fortunatamente un’illusione. La legge, infatti, si applica (e non potrebbe essere diversamente) anche alle condotte poste in essere su internet. Recentemente la giurisprudenza è intervenuta per confermare che alle offese e minacce sul web si applicano le stesse sanzioni penali.
E sul tema non si tiri in ballo l’articolo 21 della nostra Costituzione, in quanto la nostra Carta prevede sì la libertà di pensiero e di espressione, ma non al punto da travalicare la pertinenza e la contingenza della critica (quanto aspra e accesa appaia). Si potrà allora ben comprendere come l’insulto, l’incitamento all’odio razziale, le minacce e le molestie abbiano poco a che fare con il sopra menzionato brocardo.
Anzi, gli “odiatori” seriali della rete rischiano nella migliore delle ipotesi di dover risarcire il danno arrecato con le loro affermazioni. L’articolo 595 del codice penale non fa sconti: chiunque, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a 1032 euro. Pena che arriva a due anni se l’offesa si concretizza nell’attribuzione di un fatto determinato; a tale fattispecie criminosa se ne possono aggiungere poi altre, come la minaccia. Risponde di tale reato anche chi, per parlare del caso più frequente di Facebook, aggiunga al post originale un commento che vada a rafforzare la portata offensiva della dichiarazione.
Recenti studi hanno inoltre rimarcato la particolare vulnerabilità delle donne, sempre più bersaglio di becero malcostume a sfondo sessuale. La repressione naturalmente da sola non basta ad arginare questo dilagante quanto disdicevole fenomeno; è necessario, infatti, procedere ad una rielaborazione di forme culturali che vadano nella direzione del rispetto e del buon uso delle pratiche sociali e comunicative. Tutto ciò a prescindere dalla necessità di considerare la rete un porto sicuro dove poter far sfoggio di un ingiurioso turpiloquio; perché virtuale – si badi bene – non può più considerarsi sinonimo di inoffensivo o aleatorio.