di Alessandro D’Orazio
Negli ultimi mesi il dibattito politico è costantemente ancorato su diatribe di carattere economico, le quali stanno destando l’enorme interesse della variegata platea degli attori coinvolti in questo singolare tenzone. In particolar modo, sono in molti a discutere circa l’effettivo impiego delle risorse stanziate (16 miliardi di euro) nella imminente manovra finanziaria, la quale prevede tra le novità più eclatanti l’introduzione del reddito di cittadinanza, il ricorso alla cd. “quota cento” (pensionamenti anticipati), oltre all’avvio della flat tax per le aziende di piccole dimensioni e per un certo numero di lavoratori autonomi. Quest’ultima scelta sarà, inoltre, controbilanciata dall’eliminazione di due agevolazioni alle imprese: l’Imposta sul reddito imprenditoriale (Iri) e l’Aiuto alla crescita economica (Ace).
La proposta dell’esecutivo giallo-verde, così come sopra sinteticamente descritta ed avanzata nella Nota di aggiornamento al Def, è stata di recente inviata alle Camere risultando fin da subito assai rischiosa in considerazione dell’attuale contesto economico mondiale per nulla florido in cui anche il nostro Paese si trova a veleggiare. Anzi, gli aumenti dei tassi di interesse sui Btp unitamente alla galoppante crescita registrata dallo Spread nel corso di questi ultimi mesi non hanno fatto altro che destare una maggiore attenzione da parte dell’opinione pubblica nazionale e delle maggiori istituzioni internazionali (Unione Europea in primis).
Secondo quanto trapelato dalla maggioranza, l’intenzione sarebbe quella di confermare il rapporto deficit/Pil al 2,4% per il prossimo anno con l’unica apertura a Bruxelles che potrebbe arrivare negli anni successivi. Non è infatti escluso che l’esecutivo si impegni ad abbassare ulteriormente il differenziale per il 2020 e per il 2021, attualmente fissato rispettivamente al 2,1% e all’1,8%. Anche sul debito pubblico potrebbe esserci un ritocco per i prossimi anni. Con la discesa sotto il 130% del Pil nel 2019 si potrebbe arrivare ad un nuovo calo e giungere così alla soglia del 125% nel 2021 (ora nel Def è previsto il 126,5%). Si tratta comunque di parziali aperture, senza la volontà di alzare i toni dello scontro, evidenziando allo stesso tempo il desiderio di “non cedere di un millimetro” sull’impianto della manovra (costituita dai punti cardine precedentemente richiamati).
In considerazione di quanto finora evidenziato, appare netta la possibilità di avviare un confronto con i principali partner europei, evitando di innescare toni bellicosi e per nulla proficui alla causa più importante: il bene dell’Italia. Anche perché, come concluderebbe qualcuno, “se avessimo voluto sparare sull’Europa avremmo fissato il deficit/Pil al 3,1%”.