Nuovo capitolo nella vicenda dei lavoratori bengalesi che tre anni fa denunciarono la loro condizione di schiavitù in alcune fabbriche di Sant’Antimo, in provincia di Napoli. Il gruppo fu portato in Italia con l’inganno da una banda capeggiata dal quarantaduenne Alim Sheikh. Dopo aver pagato tra i 10.000 e i 15.000 euro a testa in cambio di una promessa di permesso di soggiorno e di un lavoro ben retribuito, i 15 bengalesi, insieme a molti altri connazionali, furono in realtà segregati con violenza e ridotti in una condizione di semischiavitù in alcuni capannoni tra Sant’Antimo e Casandrino. I passaporti furono sequestrati da Alim mentre i giovani immigrati, pagati circa 300 euro al mese, erano costretti a lavorare per 17-18 ore al giorno fino al sabato incluso, e persino la domenica dalle 7.30 alle 14 o alle 19 con le porte chiuse a chiave dall’esterno. Del caso si interessò l’Associazione antirazzista e interetnica 3 Febbraio, grazie al cui intervento gli operai trovarono il coraggio di denunciare gli sfruttatori che furono poi arrestati mentre le fabbriche furono poste sotto sequestro.
Mercoledì 8 e giovedì 9 febbraio, si svolgerà a Napoli l’incidente probatorio richiesto dal P.M. Dott. Maurizio De Marco della DDA, al fine di ottenere la testimonianza delle parti offese e cristallizzare le accuse in vista del futuro dibattimento e velocizzare i tempi del processo. Con il sostegno dei loro difensori, gli avvocati Bruno Botti, Benedetta Piola Caselli, Amarilda Lici e Alessandro Del Piano, i lavoratori bengalesi saranno sentiti formalmente come testimoni davanti al GIP di Napoli dott. Ssa De Stefano, in contraddittorio tra accusa e difesa. Si tratta di un passaggio processuale determinante; i racconti dei querelanti, con queste modalità, assumeranno giuridicamente valore di prova.
A questo importante passaggio si è arrivati grazie all’impegno dell’Associazione 3F a cui si sono aggiunte altre associazioni solidali tra cui La Comune e i Comitati Solidali Antirazzisti, avvocati, giornalisti, accademici, l’ASGI e tanti altri che hanno permesso di svelare il perverso intreccio che lega criminali locali ai criminali delle stesse comunità immigrate. “Chi attacca l’umanità, – affermano i responsabili dell’Associazione 3F va perseguito – e di questo caso esemplare vogliamo fare un motivo di incoraggiamento per tutti coloro che si battono per un lavoro degno e per una vita libera, perché possano prendere esempio da loro.”